di Pasquale Stigliani – Fin dal suo insediamento, il governo Meloni ha mostrato idee chiare sul da farsi. Tra le priorità del Paese, ha posto al centro velocemente quella di un hub del gas. Chi non ha la memoria corta si ricorderà che non moltissimi anni fa, quando il dibattito sulle cause e gli effetti del cambiamento climatico era ancora per pochi intimi, alcuni tentativi di particolari gruppi di interesse non riuscirono a concretizzare l’idea dell’hub, nonostante il legislatore intervenne con una serie di semplificazioni tra cui la “legge obiettivo” e lo “sblocca centrali”.
Oggi, la manifestazione continua degli impatti dei cambiamenti climatici, il conflitto in Ucraina, le conseguenze economiche dovute all’instabilità dei prezzi dell’energia e i passi in avanti dell’innovazione tecnologica, rendono questo vecchio ricordo ancor più anacronistico, inutile e costoso per la collettività.
Le azioni intraprese nell’ambito del piano europeo per far fronte alla crisi economica e al conflitto in Ucraina hanno inciso fortemente sulla riduzione dei consumi del gas, in particolare quello proveniente dalle forniture russe.
Secondo le elaborazioni di Staffetta Quotidiana, in Italia c’è stata una caduta verticale delle forniture di gas russo tra il 2021 e il 2022. Senza entrare nel merito dei costi, che richiederebbe un capitolo a parte, in un solo anno siamo passati dai 29 ai 14 miliardi di metri cubi (-52%). Trend confermato anche dai dati sulle forniture del gas russo attraverso il punto di ingresso di Tarvisio (da gennaio a maggio 2023, -74%). Quest’anno potremmo finire per importare circa un terzo della quantità di gas importata nel 2022, pari a 5 miliardi di metri cubi. Una capacità che terminerà a breve, sostituibile già con il nuovo rigassificatore di Piombino (+ 5 miliardi di metri cubi), al quale si aggiunge quella di Ravenna (+ 5 miliardi di metri cubi) e l’incremento di nuova capacità dell’OLT (+ 1,25 miliardi di metri cubi) e di Rovigo (+ 0,6 miliardi di metri cubi).
Interessante anche la posizione di Elettricità Futura, che ha presentato pubblicamente un percorso per il raggiungimento dell’indipendenza e della sicurezza nazionale, oltre che della decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi europei. Il piano al 2030 del settore elettrico presentato prevede di allacciare alla rete 85 Gigawatt di nuove rinnovabili al 2030, portando all’84% le rinnovabili nel mix elettrico, e un’elettrificazione pari a circa 360 Terawattora. Raggiungendo questo traguardo, nei prossimi 8 anni l’Italia potrà ridurre di 160 miliardi di metri cubi le importazioni di gas, con un risparmio di 110 miliardi di euro.
Proiezioni che potrebbero essere superate dalla realtà, tenuto conto che le statistiche energetiche del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (consulta le statistiche del MASE), rispetto allo stesso mese del 2022, indicano consumi di gas crollati di oltre il 26%, con una riduzione anche della produzione nazionale (-6,9%).
Un settore in piena crescita nel mondo, invece, è quello delle rinnovabili che, con 440 GW nel 2023, raddoppierà la capacità installata nel 2019. Risultati per i quali il nostro Paese contribuirebbe in modo marginale, ma che pare abbiano spinto la Premier Meloni a telefonare al CEO di Eni, sollevando dubbi sulle strategie intraprese e commentando le battutacce dei competitors, che asserivano che Eni “ce l’avesse piccolo…il rinnovabile” (leggi l’articolo del Professor Massimo Scalia).
Al di là delle facezie, la trasformazione del sistema energetico nazionale verso un modello decarbonizzato e affrancato dalle fonti fossili non è nelle corde di questo Governo che, a discapito dei territori e dei cittadini, continua a semplificare le procedure autorizzative per realizzare ulteriori rigassificatori.
Si tratta di scelte che, oltretutto, si scontrano con le previsioni dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (leggi l’articolo del Professor Alberto Clò), secondo cui nel 2030 oltre la metà delle infrastrutture di importazioni europee di GNL – per 250 miliardi di metri cubi – potrà risultare inutilizzata rispetto a una domanda stimata al di sotto di 400 miliardi di metri cubi.
Paradossale quindi che il Governo voglia installare nuove infrastrutture a fronte di una prospettiva di crollo della domanda interna da qui a fine decennio. Perseguire tale scelta espone il nostro Paese a gestire stranded assets, ovvero investimenti destinati a perdere valore, sostenibili solo perché lo Stato si fa garante della remunerazione e i cui costi sono pagati dalla collettività. Per ogni rigassificatore che sarà realizzato, infatti, lo Stato garantirà il ritorno degli investimenti attraverso un fondo di 30 milioni di euro l’anno, attivo dal 2024 al 2043 e destinato a coprire la quota dei ricavi per il servizio di rigassificazione, prioritariamente per la quota eccedente l’applicazione del fattore di copertura dei ricavi del 64% per 20 anni, un sostegno economico previsto dalla vigente regolazione tariffaria. Faccio presente che la garanzia riconosciuta ad OLT, uno dei rigassificatori già presenti in Italia, ci è costata centinaia di milioni di euro. Dobbiamo tener ben presente anche il fatto che il GNL costa il 30-40% in più rispetto ad altre tipologie di forniture e con contratti ventennali che ci legheranno mani e piedi ai fornitori.
Secondo le dichiarazioni del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, il suo dicastero sta valutando la possibilità di realizzare anche altri due rigassificatori con altre infrastrutture, con costi sulla collettività che potrebbero ulteriormente incrementare. Imprese e cittadini, dunque, rischiano di trovarsi bollette ancora più care da pagare.
La partita, seppur già segnata da alcune scelte di campo assunte dal Governo, entrerà nei prossimi giorni nell’ambito del Piano Energia e Clima (PNIEC) in cui scrivere lo scenario energetico futuro del nostro Paese. Interessante è quello proposto dalle Associazioni Ambientaliste commissionato da Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia e realizzato dal think tank Ecco e Artelys (leggi lo scenario PNIEC delle Associazini ambientaliste), nel quale viene preso in carico l’impegno assunto dai Paesi del G7 a raggiungere l’obiettivo di un sistema elettrico “completamente o prevalentemente” decarbonizzato entro il 2035. Un target molto vicino anche a quello indicato da Elettricità Futura che raggruppa le industrie italiane che operano nel settore dell’energia, e che prova a rispondere al monito sui cambiamenti climatici che migliaia di giovani (e non solo) stanno cercando di diffondere tra l’opinione pubblica.
Un obiettivo senz’altro ambizioso, ma raggiungibile. Basta volerlo!
Se per il V rapporto dell’IPCC il 2030 è considerato l’anno di non ritorno, per il VI rapporto dell’IPCC è il 2025. Non abbiamo tempo e non possiamo, parafrasando le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, continuare a premere l’acceleratore su un’autostrada che ci porterà all’inferno climatico.
L’AUTORE
Pasquale Stigliani – Laureato in Scienze Politiche all’Università di Bari e Masterizzato RIDEF al Politecnico di Milano e IUAV di Venezia. Esperto di politiche energetiche e sviluppo locale ha lavorato in ISES ITALIA ed ASSOSOLARE. Dal 2013 è stato collaboratore del Senatore Gianni Girotto, già Presidente della Commissione Industria. Attualmente collabora con l’Onorevole Enrico Cappelletti, membro della X Commissione Industria alla Camera.
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