di Beppe Grillo – È da oltre 30 anni che parlo di Telecom. Per questo, voglio condividere con voi alcune considerazioni a riguardo.
L’instabilità dell’azionariato di Telecom Italia ne pregiudica qualsiasi sviluppo di lungo termine e la espone a disegni finanziari strampalati, come lo scorporo della rete, che la condanna a morte.
L’avvicendamento di diverse proprietà nel tempo, dall’Opa del 1999 in poi, tutte caratterizzate da scarsa propensione a capitalizzare la società, hanno messo la Telecom nella incapacità di sostenere gli investimenti necessari a competere su scala internazionale e ad attraversare congiunture difficili come quella determinata dalla eccessiva discesa dei prezzi della telefonia (con velocità doppia rispetto all’Europa).
Il prezzo dell’azione Telecom scende quindi ai minimi storici e attrae i grandi fondi internazionali a prenderne il controllo per separare la parte infrastrutturale di rete (che si rivende a valori molto elevati) dalla parte che commercializza il servizio, che da sola non riesce asostenere i livelli occupazionali attuali e difficilmente sopravviverebbe anche dopo licenziamenti drastici, dell’ordine di 25-30 mila dipendenti.
È irrealistico pensare ad uno scorporo della rete Telecom e alla fusione con Open Fiber, perché è troppo tardi: le due reti sono già in ampia misura realizzate e quasi totalmente sovrapposte, quindi i risparmi da fare modesti.
L’integrazione delle reti è irrealizzabile,tanto sotto Telecom (perché operatore verticalmente integrato),quanto fuori da Telecom, perché affonda quel che rimane della Telecom, come una seconda Alitalia.
Esistono e possono coesistere due reti wholesale in concorrenza, come accade per la rete mobile con ineutral host di infrastruttura: Inwit, Cellnex, ecc.
Ne consegue che anche la presenza di CdP tanto in Telecom quanto in Open Fiber non è sostenibile,dato che non giustificata da una ipotesi di fusione con la rete di Telecom, che abbiamo detto irrealizzabile.
Le TLC sono un settore strategico per la digitalizzazione del Paese, ad elevata intensità di capitale, che richiede margini elevati e strutture patrimoniali solide per finanziarli. Per competere in questo contesto Telecom Italia deve ritrovare stabilità di azionariato, condizione che CdP può garantire:
- creazione di due reti in fibra in concorrenza sul mercato wholesale: Open Fiber da una parte e Telecom dall’altra, in grado entrambe di attrarre investitori istituzionali interessati ad investire su asset di lungo termine, favorendo anche una competizione basata non solo sui prezzi ma soprattutto sull’innovazione.
- uscita di CdP da Open Fiber e rafforzamento del proprio ruolo istituzionale in Telecom Italia, reinvestendo la importante plusvalenza che si determina dalla vendita della quota di controllo di OF ai fondi interessati (Macquarie, KKR, ecc)
- rafforzamento patrimoniale di Telecom, attraverso un aumento di capitale dedicato a CDP, o sotto altra forma, che la metta nelle condizioni di migliorare il rating complessivo dell’azienda, diminuire l’eccessivo debito e recuperare la flessibilità finanziaria necessaria per sostenere gli investimenti futuri.
- salvaguardia della sicurezza nazionale legata agli asset “sensibili”, mettendo sotto la supervisione pubblica tutte le attività maggiormente esposte ai cyber-risk;
- difesa del know-how e dei livelli occupazionali di Telecom, attraverso la protezione dell’azienda dal rischio “spezzatino” con la vendita dei “gioielli di famiglia”,grazie ad un consolidamento della società con una prospettiva industriale futura.
CdP può quindi dare finalmente la stabilità all’azionariato di Telecom che manca da oltre 20 anni e che la sottopone ciclicamente a processi di crisi oramai quasi irreversibili. Con una struttura azionaria stabile e uno stato patrimoniale rafforzato Telecom è nelle condizioni di competere sul mercato e guidare il processo di digitalizzazione del Paese.