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Morti Bianche: Silos della morte

beppegrillo.it - Agosto 3, 2008

Riporto una testimonianza dal libro “Morti Bianche” di Samanta Di Persio disponibile sul blog a prezzo libero.

“Mio fratello Giuseppe mi manca tantissimo. Noi siamo cinque fratelli, lui era il più grande di tutti ed era nato il 14 settembre del 1958. Fra me e lui c’erano dieci anni di differenza, io sono nata il 15 settembre del 1968. Per 38 anni abbiamo festeggiato i nostri compleanni insieme, anche se non c’era la torta, è sempre stata come un’unica ricorrenza. Mio fratello ha iniziato a lavorare a quattordici anni. Faceva il meccanico e lo ha fatto fino a che non è partito per fare il militare. In questo periodo della sua giovinezza e della mia infanzia abbiamo perso nostra madre, morì di leucemia.
Lui, in qualità di fratello maggiore, ancora una volta si era trovato a proteggere noi più piccoli. In particolar modo me, che ero l’unica femminuccia. Mio padre lavorava in una fabbrica, faceva i turni di notte per guadagnare di più. Nonostante il suo lavoro trovava sempre il modo di essere presente. E ora li ho persi entrambi, il papà è venuto a mancare nel 2005.
Giuseppe si sposò nel 1981 con Fiorella, sono stati insieme e felici per venticinque anni. Il 18 ottobre 2006 hanno festeggiato le nozze d’argento: tanti regali, tantissime felicitazioni e per la prima volta nella vita, per il loro anniversario, si sono concessi una seconda luna di miele nella città degli innamorati: Venezia. Un breve viaggio che è rimasto solo un ricordo. Dopo neanche un mese, mio fratello non c’era più. Un vuoto immenso nel nostro cuore che non si può più riempire. Mio fratello lavorava con la ditta Manili da dieci mesi e ne era molto entusiasta perché lo stipendio veniva pagato regolarmente e si trovava bene sia con il datore che con i suoi colleghi. Prima ancora lavorava con una ditta che montava le gru.
Lì ebbe due incidenti. Il primo mentre era sopra una gru: fu colpito da un fulmine, ma non riportò alcun trauma. Nel secondo, rimase schiacciato da un braccio dell’autocarro, ma anche lì se la cavò.
Giuseppe aveva un carattere molto gioioso e parlava dei suoi incidenti come se fossero favole. Poi si convinse che non era più un ragazzino e cambiò lavoro. Iniziò con una ditta che si occupava di manutenzione di carro-ponti, ma alle prime avvisaglie di crisi economiche venne licenziato. Venne scelto lui poiché era l’unico a non avere figli.
Ecco che arrivò il lavoro alla raffineria Manili, una ditta di Narni. Prima di essere operativo fece tutti i corsi obbligatori: formazione e sicurezza. Il 21 novembre incominciò una manutenzione presso l’oleificio Umbra Olii. Trascorse quattro giorni sopra quei silos senza che succedesse niente. Quel maledetto sabato di un anno e mezzo fa, uscì di casa salutando la moglie dicendo: “Sono sedici euro di trasferta che prendo in più nella busta paga”. Alle 12.55 l’esplosione. Mia cognata venne a sapere dell’incidente alle 17.30. Nessuno si era presentato a casa sua a dirle cosa fosse successo a Giuseppe, neanche i carabinieri del luogo che sapevano dell’accaduto. Lei incominciò il giro di telefonate, prima ai colleghi di mio fratello, ma non le rispondeva nessuno e poi alla fine quando l’unico collega sopravvissuto (ancora all’oscuro di tutto) le rispose, si spense il telefono. Allora Fiorella telefonò alla moglie del titolare. Anche lui era morto insieme a mio fratello e così le disse quello che era accaduto. Avevano perso la vita quattro uomini, quattro lavoratori: Maurizio Manili di 42 anni, Tullio Mottini di 46 anni, Vladimir Toder, un ragazzo albanese di 32 anni e mio fratello Giuseppe Coletti di 48 anni. Appresi della disgrazia alle 23. Mi cadde il mondo addosso, lì, in quel momento. Mi feci coraggio solo perché ho un bimbo di 11 anni.
Il corpo di mio fratello era l’unico che si riconosceva e fu ritrovato subito insieme a quello di Manili. Quello del titolare era semicarbonizzato. Gli altri due corpi furono trovati completamente carbonizzati. Dai resti di qualche osso rinvenuto è stata fatta l’analisi del DNA. Solo il responso ha dato la prova che si trattasse degli altri lavoratori della ditta. Abbiamo aspettato gli esiti delle perizie e nel frattempo abbiamo visto e scoperto chi era veramente Giorgio Del Papa, il legale rappresentante della Umbra Olii: una persona senza scrupoli e sopratutto senza rispetto per gli altri. La sua era una tra le raffineria più grandi d’Europa, circa 50 dipendenti, dove al momento dell’incidente erano stipati almeno 500 mila litri di olio d’oliva. Dalle perizie abbiamo saputo la sua omissione: faceva uso di esano e dentro a quei silos non a norma lui faceva credere di fare un tipo di lavorazione mentre ne faceva un altro. È indagato per omicidio colposo plurimo aggravato per la violazione di norme sulla sicurezza. Sono convinta che avesse già condannato a morte mio fratello senza che lui avesse fatto niente a nessuno. Ma dopo un anno dalla commemorazione di questo incidente, lui ha inaugurato i suoi affari a Civitavecchia. Speriamo che la giustizia faccia il suo corso, noi siamo aggrappati a un bagliore di speranza.
In queste vicende i riflettori sono tutti puntati quando la notizia è fresca. Quando è cominciato il processo però non c’era tutto il clamore del 26 ottobre del 2006. Anche la politica usa parole di circostanza quando c’è la tragedia e poi tutto viene dimenticato.
Ho letto un’intervista del consigliere regionale Aldo Tracchegiani che difendeva a spada tratta Giorgio Del Papa: “Ci sono oltre 40 dipendenti, le loro famiglie e un imprenditore che chiede di poter lavorare”. Come dire, non importa se l’impresa è insicura, l’importane è produrre, lavorare. Dopo aver letto ciò, mi è preso il mal di stomaco. Infine arriva la notizia che le famiglie delle vittime devono risarcire 35 milioni di euro a Giorgio Del Papa, per il danno causato alla sua azienda. Ecco, il suo danno è stimabile, ma lui ha un’idea della sofferenza di chi perde parte di se tragicamente? Le sue dichiarazioni o del suo avvocato ammazzano per la seconda volta Maurizio, Tullio, Vladimir e Giuseppe.”
Samanta Di Persio dal libro “Morti Bianche”


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