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La legittima difesa del Made in Italy

beppegrillo.it - Novembre 17, 2015

“Due atleti sono impegnati in una gara: uno fa uso di doping e l’altro non prende l’aspirina neanche quando ha il raffreddore. Chi vincerà? Questa semplice metafora rappresenta bene il funzionamento dell’economia di mercato nell’era della globalizzazione. Le aziende europee devono rispettare rigidissimi protocolli, ma al contempo gareggiare con l’economia cinese dopata grazie a sovvenzioni pubbliche, costi dell’energia bassissimi, sfruttamento della manodopera, anche quella minorile. Chi vincerà?

Questa impari gara è stata riequilibrata, in alcuni settori produttivi, grazie ai dazi antidumping, una sorta di compensazione del prezzo finale del bene a fronte di una concorrenza sleale. Facciamo l’esempio delle BICICLETTE. “L’industria italiana della bicicletta ringrazia i dazi antidumping (messi nel 2011 ndr) e chiude il 2013 con una produzione in crescita del 22% rispetto all’anno precedente“, scrive il quotidiano di Confindustria “Il Sole 24 Ore“. Paolo Nigrelli, presidente del settore ciclo di Ancma, in una intervista rincara: “non è protezionismo, è legittima difesa“.

C’è una guerra commerciale in corso e sopravvive solo chi si difende. La LEGITTIMA DIFESA ha prodotto dei risultati concreti. Il settore delle biciclette, per continuare l’esempio, era agonizzante. Si è passati dalle 5,8 milioni di bici prodotte nel 1994 ai 2,4 milioni del 2011, un crollo del 65% che ha rischiato di spazzare via un’eccellenza italiana. Ducati, Bianchi, Atala, Bottecchia, Pinarello, sono realtà imprenditoriali che, con la ricerca e l’innovazione, hanno resistito a qualsiasi tempesta economica. La Colnago – in collaborazione con la Ferrari e il Politecnico di Milano – è stata la prima azienda al mondo a introdurre i telai in carbonio. C’era un’Italia che funzionava e che si faceva rispettare nel mondo, mentre adesso c’è la Cina che ha una sovrapproduzione di 30 milioni di bici da piazzare all’estero. Senza i dazi introdotti nel 2011 che fine avrebbero fatto tutte queste aziende? Stesso discorso vale per tutto il resto dell’industria manifatturiera: si rischia una tabula rasa.

La partita si gioca a livello europeo. Nelle comunicazioni sulla strategia commerciale di Cecilia Malmström, Commissaria dell’UE responsabile per il Commercio, non c’è una riga su come l’Europa possa difendere la propria industria dalle pratiche scorrette e sleali praticate dalla Cina. Questa Europa sta, invece, accelerando la sua trasformazione verso una società dei servizi svendendo la sua anima alle multinazionali del nord Europa affamate di prodotti a basso costo. L’industria automobilistica tedesca nel breve periodo, per esempio, potrà assemblare le proprie auto con la componentistica cinese e godere di una riduzione dei costi e un aumento dei profitti. Tuttavia, le conseguenze sarebbero drammatiche: nel breve termine il prosciugamento degli affari dell’indotto che tiene in vita le piccole e medie imprese, nel lungo termine il trasferimento del know how produttivo ai cinesi che così potranno far da soli e costruirsi le automobili da soli.

Nessuno però ha il coraggio di dire la verità alla Cina. Davanti a Xi Jinping in visita istituzionale in Europa hanno scodinzolato tutti come dei cagnolini. La Merkel schiava delle lobby automobilistiche, Cameron che un giorno lo accoglie come un Re, il giorno dopo chiede aiuto a Bruxelles per difendere le sue acciaierie dalla concorrenza cinese. Infine, Renzi che non vuole scomodare il nuovo grande capo (negli ultimi anni la Cina ha investito milioni in Telecom, Fiat-Chrysler, Eni, Enel, Prysmian, Cdp Reti, Ansaldo Energia, ma anche Gruppo Ferretti, Fiorucci, Miss Sixty, Cerruti e Benelli). Hanno tutti paura della Cina e per questo stanno svendendo l’industria europea.

Il MoVimento 5 Stelle invoca la LEGITTIMA DIFESA per le imprese italiane. Questo scriverà la portavoce Tiziana Beghin nel rapporto a lei assegnato sulla strategia commerciale europea. Guarderemo in faccia chi vuole far fallire l’Italia e cercheremo l’alleanza con Paesi industriali del Sud Europa, Spagna, Francia, Portogallo e la Grecia che rischiano di vedere scomparire tra 1,7 e 3,5 milioni di posti di lavoro.” M5S Europa

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