di Torquato Cardilli – Nell’eredità della saggezza latina ci sono due espressioni che richiamano l’uomo ad abbandonare i dibattiti oziosi e ad occuparsi di problemi più seri e impellenti per il benessere del paese e della società. La prima, risalente all’innesco della seconda guerra punica (219 a.C.), ci è stata lasciata da Tito Livio che commentava amaramente la perdita di tempo del Senato che discuteva all’infinito anziché decidere di soccorrere un paese alleato in pericolo: “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur” (mentre a Roma si discute Sagunto cade in mano nemica).
La seconda “reductio ad absurdum” (dimostrazione per assurdo) risale al periodo bizantino, quando i teologi di Costantinopoli dibattevano tra di loro sul sesso degli angeli non curanti del fatto che le armate ottomane di Maometto II (1453 d.C.) stessero per espugnare la città e sconfiggere per sempre l’impero romano d’oriente.
Oggi un circolo mediatico serviente, non spiega al popolo che i reggenti, che pochi mesi fa si dichiaravano pronti, nei fatti non sanno che pesci pigliare di fronte alla magnitudine dei problemi posti dall’immigrazione, dalle scadenze del momento per l’attuazione del PNRR, dall’inflazione che erode ogni giorno il potere d’acquisto, dai sacrifici per l’atteggiamento del servilismo sciocco sulla questione ucraina. Tutte le promesse e i proclami su cui hanno fondato la vittoria elettorale contando sull’ignoranza e sull’odio per i più poveri, si sono squagliati: non si parla più di blocco navale o di respingimenti ed espulsioni, si incespica nelle sberle europee sui balneari, si parla a sproposito della difesa della lingua e del made in Italy, ci si sbraccia sull’invio delle armi all’Ucraina ben sapendo che non sono funzionali al negoziato diplomatico, si ipotizza addirittura di rinunciare ai fondi del PNRR non sapendo come spendere per realizzare progetti che non stanno in piedi ecc.
Viceversa sollevano polveroni su due strafalcioni antistorici e politicamente riprovevoli, frutto di un’eredità del famoso ventennio, che nascondono l’inefficienza, l’impreparazione, l’incapacità dell’esecutivo e di chi occupa cariche istituzionali di rilievo.
Il primo: lo scivolone semantico del cognato-ministro dell’agricoltura a proposito della volontà di impedire la sostituzione etnica che deriverebbe dall’immigrazione (“…non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro…”); il secondo: “…nella Costituzione repubblicana non c’è la parola antifascismo…”, affermazione pronunciata nientemeno che dalla seconda carica dello Stato, il mefistofelico presidente del Senato, che è chiamato per legge al ruolo di difensore della costituzione e dei valori che essa incarna.
Cominciamo dalla frase infelice del ministro dell’agricoltura, pronunciata con brutalità in un intervento ad un’assemblea di sindacalisti del settore. Non è stato un lapsus o un’esagerazione da foga oratoria, ma la logica conseguenza politica di un’impostazione, già manifestata precedentemente in moltissime occasioni da Giorgia Meloni e da Matteo Salvini, a riprova che l’impianto lessicale ideologico della destra è rimasto quello del secolo scorso.
La pioggia di critiche del mondo politico per questa scivolata da suprematista bianco ha indotto il ministro-cognato ad una mezza ritirata, ma in questo caso vale il detto di Metastasio: “voce dal sen fuggita poi richiamar non vale; non si trattien lo strale quando dall’arco uscì”.
E veniamo alla questione della Costituzione, chiaramente antifascista, anche se il presidente del Senato non lo ammette.
Basta qui ripetergli verbatim quanto disposto dalla XII disposizione finale: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.”; e dalla XVII disposizione: “La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.”
Chi capisce, ed anche un alunno di scuola media lo sa, comprende che la questione dell’inesistenza della parola antifascista è un falso problema e che il presidente del Senato si comporta come un sofista bizantino per non ammettere che la Costituzione italiana è chiaramente la suprema legge antifascista.
Solo le dimissioni di chi occupa queste supreme posizioni (cosa che accadrebbe in altri paesi occidentali) potrebbero lavare l’offesa ai caduti per la libertà, alla Costituzione e al popolo italiano.
Da noi non accadrà perché il potere, al calduccio dei dibattiti oziosi, è un collante più forte e più saldo dei principi morali.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.