
Nel mondo occidentale, il weekend di due giorni è considerato sacrosanto. In Cina, invece, il riposo settimanale di 48 ore non è garantito. Molti studenti rinunciano a questa abitudine già all’inizio delle scuole superiori, mentre nel mondo del lavoro, soprattutto in settori ad alto ritmo come la tecnologia, gli straordinari sono spesso obbligatori per i colletti bianchi. Emblematico, in questo senso, fu l’intervento del fondatore di Alibaba, Jack Ma, che nel 2019 difese pubblicamente il famigerato modello “996”, lavoro dalle 9 del mattino alle 9 di sera, sei giorni a settimana, definendolo addirittura “una grande benedizione”.
Eppure, negli ultimi mesi, diverse grandi aziende cinesi hanno cominciato ad adottare politiche opposte, incoraggiando i dipendenti a lasciare prima l’ufficio. Midea, gigante del settore elettrodomestico, ha lanciato una campagna contro gli straordinari inutili, ordinando ai lavoratori di concludere la giornata entro le 18:20. Il presidente dell’azienda ha dichiarato che “oltre il 95% degli straordinari è puramente performativo”. Anche DJI, noto produttore di droni, ha imposto lo sgombero degli uffici entro le 21:00, un orario che, nonostante il cambiamento, è stato comunque criticato online perché considerato ancora troppo tardi.
Queste nuove politiche aziendali si allineano a due grandi priorità dello Stato cinese. La prima riguarda il contrasto a un fenomeno conosciuto come neijuan, termine spesso tradotto con “involuzione”. Esprime l’idea di un impegno crescente che non produce risultati migliori, come correre restando fermi. Il governo cerca di porre fine a questa corsa sfrenata e autodistruttiva, anche se non tutti sono convinti della sincerità di questo cambiamento. Un giornale ha riassunto il sarcasmo che circola online con una domanda pungente: “Le stesse aziende che per anni hanno imposto ritmi disumani ora vogliono guidare la battaglia contro l’involuzione?”. Alcuni osservatori collegano questa svolta anche al recente divieto europeo di importare prodotti realizzati con lavoro forzato, inclusi gli “straordinari eccessivi”, una spinta concreta per molte aziende esportatrici.
La seconda priorità riguarda invece la trasformazione dell’economia interna: meno dipendenza da esportazioni e infrastrutture, più consumo interno. Per stimolarlo, il governo ha varato a marzo un “piano d’azione speciale” per incentivare la domanda. Tra gli obiettivi, figurano il superamento della “cultura degli straordinari” e la tutela del diritto al riposo e alle ferie. Quest’anno, ad esempio, sono stati aggiunti due giorni festivi al calendario. Ma se le persone sono costrette alla scrivania fino a sera, convincerle a uscire, spendere o anche solo a cenare fuori diventa una missione impossibile.
Alcune aziende hanno già cominciato a modificare il loro approccio. Oltre a Midea e DJI:
- Tencent, colosso tecnologico, ha limitato le ore di straordinario in varie divisioni e incoraggia il rientro a casa in orari regolari, con sistemi interni che bloccano gli accessi notturni agli uffici.
- ByteDance, la casa madre di TikTok, ha adottato l’orario “1075”: dalle 10 alle 19, cinque giorni alla settimana, promuovendo un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata.
- Miniso, catena retail, ha vietato l’eccessivo uso di strumenti come PowerPoint per tagliare sul lavoro non essenziale e ottimizzare i tempi.
- Haier, altro gigante degli elettrodomestici, ha formalizzato la settimana lavorativa di cinque giorni in tutta l’azienda, anche nei reparti più impegnativi.
Al contrario, aziende come Huawei hanno spinto sull’intensificazione dei ritmi, con un modello soprannominato “007” (24 ore su 24, 7 giorni su 7), criticato per l’impatto negativo sulla salute mentale dei dipendenti.
Le nuove misure hanno trovato consensi, soprattutto dopo episodi tragici che hanno coinvolto lavoratori di aziende come Pinduoduo e ByteDance, morti, secondo molti, a causa del superlavoro. I dipendenti del settore tech si definiscono niuma, “bestie da soma”. Nel 2021, la Corte Suprema cinese ha dichiarato illegale il modello “996”, ma l’applicazione della sentenza è stata blanda. Alcune imprese adottano ancora formule ibride, come quella della “big week/small week”, che alterna settimane da cinque e sei giorni lavorativi.
Molte di queste dinamiche si osservano chiaramente a Haidian, la Silicon Valley di Pechino. Secondo i dati ufficiali, le ore lavorative settimanali medie in Cina hanno toccato un picco di 49 ore a dicembre 2024, per poi calare a 47,1 nei mesi successivi, complice anche la pausa del Capodanno lunare. La settimana lavorativa di quattro giorni è stata ipotizzata dall’Accademia Cinese delle Scienze Sociali per il 2030, ma al momento resta solo una proposta: nessuna grande azienda l’ha adottata ufficialmente.
Nel frattempo, cresce tra i giovani un sentimento di rigetto verso la pressione lavorativa costante. È così nato il movimento tangping, “sdraiarsi”, una forma di resistenza pacifica in cui molti rinunciano a rincorrere carriere estenuanti, scegliendo uno stile di vita più lento e minimalista. Il tangping ha guadagnato popolarità soprattutto tra le nuove generazioni, che iniziano a mettere in discussione il culto della produttività.
Le condizioni peggiori, però, spettano ai lavoratori del settore dei servizi. Molti hanno solo pochi giorni liberi al mese, se non nessuno. In molte aree urbane, i turni lunghi e la scarsa protezione sindacale lasciano poco spazio alla negoziazione. Alcuni esercizi offrono la possibilità di prendersi ferie non retribuite, ma spesso si tratta di una concessione solo formale: la pressione economica e sociale spinge molti a rinunciarvi.
In definitiva, convincere i cinesi a lavorare meno non sarà semplice. La cultura del sacrificio è profondamente radicata, e le paure legate alla competitività e alla stabilità economica restano forti. Ma i primi segnali di un cambiamento sono visibili. E mentre lo Stato cerca nuovi modelli per sostenere l’economia interna, anche la società civile comincia, lentamente, a rivendicare il diritto al tempo.