Un finto stupro e prove manipolate in Svezia, la pressione della Gran Bretagna affinché l’indagine non venga archiviata, giudici parziali, la detenzione in una prigione di massima sicurezza, la tortura psicologica – e presto l’estradizione negli Usa, dove rischia 175 anni di reclusione per aver svelato crimini di guerra: per la prima volta, il relatore speciale dell’Onu sulla tortura, Niels Melzer, parla delle esplosive conclusioni della sua indagine sul caso del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange.
Intervista di Daniel Ryser, del 31.01.2020, pubblicata su “Republik”
Traduzione dal tedesco di Stefano Porreca
1. La polizia svedese inventa uno stupro
Nils Melzer, perché il relatore speciale dell’Onu sulla tortura si sta occupando di Julian Assange?
Recentemente, anche il Ministero degli affari esteri tedesco mi ha fatto questa domanda: ciò rientra davvero nel suo mandato? Assange è realmente vittima di torture?
Lei cosa ha risposto?
Il caso riguarda il mio mandato sotto tre aspetti. Innanzitutto, Assange ha pubblicato prove di torture sistematiche. Ora, però, anziché i responsabili delle torture, è lui a essere perseguito. Per seconda cosa, lui stesso è stato sottoposto a maltrattamenti a tal punto che oggi presenta sintomi di torture psicologiche. E per terza cosa, è prevista l’estradizione in uno Stato che reclude le persone come lui in condizioni di detenzione che Amnesty International descrive come una tortura. In sintesi: Julian Assange ha svelato delle torture, lui stesso è stato oggetto di tortura e negli Stati Uniti potrebbe essere torturato fino alla morte. E un caso come questo non dovrebbe rientrare nella mia sfera di competenza? Oltre a ciò, questo è un caso di emblematica importanza, interessa ogni cittadino di uno Stato democratico.
Perché, allora, non si è occupato del caso già molto tempo fa?
Si immagini una stanza buia. Improvvisamente, qualcuno punta una luce sull’elefante nella stanza, sui crimini di guerra, sulla corruzione. Assange è l’uomo con il faretto. Per un momento i governi sono sotto choc. A quel punto, con le accuse di stupro, questi ruotano il faretto. Una classica manovra per manipolare l’opinione pubblica. L’elefante, ancora una volta, scompare nel buio, dietro il faretto. Al suo posto, ora, c’è Assange sotto i riflettori, e noi iniziamo a discutere se in ambasciata egli vada sullo skateboard o se dia da mangiare correttamente al suo gatto. E tutt’a un tratto noi tutti sappiamo che è uno stupratore, un hacker, una spia e un narcisista. E gli abusi e i crimini di guerra che ha portato alla luce cadono nell’oblio. Anch’io ho perso di vista l’obiettivo. Malgrado la mia esperienza professionale che avrebbe dovuto esortarmi alla prudenza.
Possiamo ricominciare dall’inizio? Cosa l’ha condotta a questo caso?
Nel dicembre del 2018 i suoi avvocati mi chiesero di intervenire. All’inizio rifiutai. Ero oberato da altre petizioni e non avevo reale familiarità con il caso. La mia percezione, influenzata com’era dai media, era dettata dal pregiudizio che Julian Assange fosse in qualche modo colpevole e che volesse manipolarmi. Nel marzo del 2019, per la seconda volta gli avvocati si rivolsero a me perché c’erano sempre più segnali che presto Assange avrebbe potuto essere espulso dall’ambasciata dell’Ecuador. Mi spedirono alcuni documenti chiave e un riassunto del caso. E a quel punto pensai che la mia integrità professionale esigesse da me che dessi almeno un’occhiata al materiale.
E dopo?
Ben presto mi fu chiaro che qualcosa non quadrava. Che c’era una contraddizione che cozzava contro tutta la mia esperienza legale: perché per nove anni un uomo continua a essere sottoposto a un’indagine preliminare per stupro senza che si arrivi mai ad accusarlo?
È insolito?
Non ho mai visto un caso simile. Tutti possono dare il via a un’indagine preliminare su chicchessia semplicemente recandosi dalla polizia e accusando di un crimine l’altra persona. Le autorità svedesi, dal canto loro, non hanno mai voluto ascoltare le dichiarazioni di Assange. Per tutto il tempo, lo hanno intenzionalmente lasciato nel limbo. Provi a immaginare che per nove anni e mezzo un intero apparato statale e i media la sospettino di essere uno stupratore, ma che non si possa difendere perché non si arriva mai a formalizzare l’accusa.
Lei afferma che le autorità svedesi non hanno mai avuto voluto ascoltare le dichiarazioni di Assange. Eppure, nel corso degli ultimi anni, i media e le agenzie governative hanno delineato un quadro opposto: Julian Assange, stando a quanto dichiarano, è fuggito dalla giustizia svedese per sottrarsi alle sue responsabilità.
È quanto ho sempre pensato anch’io fino a quando ho iniziato le mie ricerche. A essere vero è il contrario. Assange si mise ripetutamente in contatto con le autorità svedesi perché intendeva rispondere alle accuse. Ma le autorità minimizzarono l’importanza della sua testimonianza.
Cosa significa che le autorità minimizzarono l’importanza della sua testimonianza?
Posso incominciare dall’inizio? Parlo fluentemente lo svedese e perciò ho potuto leggere tutti i documenti originali. Non riuscivo a credere ai miei occhi: secondo la testimonianza stessa della signora in questione, lo stupro non si è mai verificato. E non solo questo: successivamente, senza che la signora venisse interpellata, la polizia di Stoccolma ha riscritto le sue dichiarazioni al fine di insinuare il sospetto che si trattasse di uno stupro. Sono in possesso di tutti i documenti, delle mail, degli sms.
«La polizia ha riscritto le dichiarazioni della signora» – in che modo per essere precisi?
Il 20 agosto 2010, una signora di nome S. W. entra in una stazione di polizia di Stoccolma accompagnata da una seconda signora di nome A. A. La signora S. W. afferma di aver avuto un rapporto sessuale consensuale con Julian Assange, tuttavia senza usare il preservativo. Ora teme di aver contratto l’HIV e intende sapere se si possa obbligare Assange a fare il test per l’HIV. È molto preoccupata. La polizia annota le sue dichiarazioni e informa subito la Procura. Prima ancora che l’interrogatorio si sia concluso, la signora S. W. viene informata che Assange verrà arrestato perché sospettato di stupro. S. W. è scioccata e si rifiuta di proseguire con l’interrogatorio. Mentre si trova ancora alla stazione di polizia, scrive un sms a un’amica in cui le dice che non era affatto sua intenzione incriminare Assange, ma che voleva solo che si sottoponesse a un test per l’HIV, ma che molto evidentemente la polizia è desiderosa di «mettergli le mani addosso».
Che cosa significa?
La signora S. W. non accusò affatto Julian Assange di stupro. Si rifiuta di proseguire con l’interrogatorio e torna a casa. Ciò nonostante, due ore dopo, sulla prima pagina di «Expressen», un tabloid svedese, appare il titolone: «Assange è sospettato di duplice stupro».
Di duplice stupro?
Sì, perché c’è anche la seconda signora, A. A. Neppure lei intendeva sporgere denuncia, ma ha semplicemente accompagnato S. W. alla stazione di polizia. Quel giorno non fu neanche interrogata. In seguito, però, affermò di essere stata molestata sessualmente da Assange. Naturalmente, non sono in grado di dire se ciò sia vero o meno. Posso solo sottolineare l’ordine degli eventi: una signora entra in una stazione di polizia. Questa non intende sporgere denuncia, bensì richiedere un test per l’HIV. La polizia ipotizza che possa trattarsi di un caso di stupro e lo trasmette alla Procura. La signora si rifiuta di firmare, torna a casa e scrive a un’amica che non era sua intenzione, ma che la polizia vuole «mettere le mani addosso» ad Assange. Due ore più tardi il caso è sul giornale. Oggi sappiamo che fu la Procura a spifferarlo alla stampa. E senza aver invitato Assange a fare le sue dichiarazioni. E l’altra signora, che secondo il titolo a caratteri cubitali del 20 agosto era stata altresì violentata, venne interrogata soltanto il 21 dello stesso mese.
Cosa dichiarò la seconda signora quando fu interrogata?
Asserì che aveva messo il suo appartamento a disposizione di Assange, il quale si trovava in Svezia per una conferenza. Un piccolo monolocale. Mentre Assange è nel suo appartamento, lei torna a casa prima del previsto, ma gli dice che non è un problema, può dormire con lei nel suo letto. Quella notte hanno un rapporto sessuale consensuale, usando il preservativo. Affermò inoltre che, durante il rapporto, Assange aveva intenzionalmente rotto il preservativo. Se le cose sono andate in questo modo, naturalmente, si tratterebbe di abuso sessuale, è il cosiddetto stealthing. La signora, tuttavia, affermò anche di aver notato solo in seguito che il preservativo era rotto. È una contraddizione che andava assolutamente chiarita: se non ci ho fatto caso, non posso sapere se l’altro lo abbia fatto intenzionalmente. Sul preservativo presentato come prova non è stata trovata alcuna traccia del DNA di Assange né di quello di A. A.
Come si conoscevano le due donne?
In realtà, non si conoscevano. A. A., che ospitò Assange e gli fece da addetto stampa, conobbe S. W. a un evento in occasione del quale questa indossò un pullover di cashmere rosa. Evidentemente, seppe da Assange che era interessato a un incontro sessuale con S. W., visto che una sera riceve un sms da un conoscente: «Ma Assange abita da te», il conoscente desiderava mettersi in contatto con lui. A. A. gli risponde: «Al momento Assange dorme con la ragazza col cashmere». Il giorno seguente, S. W. parla al telefono con A. A. e le dice che anche lei ha dormito con Assange e che ora ha paura di aver contratto il virus dell’HIV. Il timore è realmente concreto, visto che S. W. si è perfino recata in una clinica per richiedere una consulenza. Successivamente, A. A. le fa la proposta: «Andiamo dalla polizia – lo possono obbligare a fare il test per l’HIV». Le due donne, però, non vanno alla stazione di polizia più vicina, ma a una che è piuttosto distante e dove un’amica di A. A. lavora come poliziotta, ed è proprio questa a interrogare S. W., inizialmente alla presenza di A. A., il che non è una procedura corretta. Fino a questo punto, al massimo si potrebbe parlare di scarsa professionalità. La malevolenza intenzionale delle autorità divenne evidente soltanto con l’immediata divulgazione del sospetto di stupro tramite il tabloid, ovvero senza aver interrogato A. A. e contraddicendo non solo la testimonianza di S. W., ma anche la legge svedese che vieta espressamente di pubblicare i nomi delle presunte vittime o dei sospettati di reati sessuali. A quel punto, il caso giunge all’attenzione della procuratrice capo della capitale, la quale qualche giorno dopo sospende le indagini per stupro affermando che le dichiarazioni di S. W. sono attendibili ma che non c’è alcuna prova che si sia trattato di un crimine.
Ma in seguito il caso scoppiò una volta per tutte. Perché?
A quel punto, il superiore della poliziotta che ha condotto l’interrogatorio scrive a quest’ultima una mail in cui le dice di riscrivere le dichiarazioni di S. W.
Cosa modificò la poliziotta?
Non lo sappiamo, perché il primo interrogatorio fu redatto direttamente al computer ed è andato perso. Sappiamo solamente che, secondo la procuratrice capo, le dichiarazioni originarie non contenevano alcuna prova evidente di crimine. Nella sua forma modificata si afferma che i due ebbero ripetuti rapporti sessuali, consensuali e usando il preservativo. Ma durante la mattina, così le dichiarazioni corrette, la donna si è svegliata quando lui ha tentato di penetrarla senza preservativo. Lei chiede: «Ti sei messo il preservativo?» Lui dice: «No.» A quel punto lei afferma: «Sarà meglio che tu non abbia l’HIV» e lo lascia continuare. Questa dichiarazione venne modificata senza che la signora in questione fosse stata interpellata e senza che questa l’avesse sottoscritta. È una prova manipolata sulla base di cui le autorità svedesi hanno inventato la storia dello stupro.
Perché le autorità svedesi farebbero una cosa come questa?
Il contesto temporale è decisivo. Alla fine di luglio, in collaborazione con il «New York Times», il «Guardian» e «Der Spiegel», Wikileaks pubblica il cosiddetto «diario di guerra afghano». È una delle più grandi fughe di notizie della storia delle forze armate statunitensi. Gli Usa invitano immediatamente i loro alleati a subissare Assange di accuse di crimini. Non conosciamo tutta la corrispondenza, ma Stratfor, una società di consulenza per la sicurezza che lavora per il governo degli Stati Uniti, consiglia apertamente al governo americano di sommergere Assange di ogni sorta di procedimenti penali per i prossimi 25 anni.
2. Assange contatta ripetutamente le autorità svedesi per rilasciare delle dichiarazioni – ma viene respinto
Ma perché al tempo Assange non si costituì alla polizia?
Lo fece eccome. L’ho accennato poc’anzi.
Mi spieghi meglio per cortesia
Assange apprende dalla stampa che è accusato di stupro. Prende contatti con la polizia per poter rilasciare le sue dichiarazioni. Benché lo scandalo sia stato reso pubblico, gli viene concesso di potersi difendere soltanto nove giorni più tardi, dopo che l’accusa di stupro da parte di S. W. era ormai caduta. La denuncia per molestie sessuali ai danni di A. A., però, era ancora pendente. Il 30 agosto 2010 Assange si presenta alla stazione di polizia per rilasciare delle dichiarazioni. Viene interrogato dal poliziotto che nel frattempo aveva ordinato di riscrivere la testimonianza di S. W. All’inizio della conversazione, Assange afferma di essere pronto a fare le sue dichiarazioni, e aggiunge, tuttavia, che non intende tornare a leggerne il contenuto sulla stampa. È un suo diritto e gli assicurano che non sarà così. La sera stessa tutta la faccenda riappare sui giornali. All’origine di questa questione ci possono essere solo le autorità, visto che nessun altro era presente durante l’interrogatorio. È evidente che l’intento era di infangare deliberatamente il suo nome.
Da dove nasce la storia secondo cui Assange si è sottratto alla giustizia svedese?
Questa rappresentazione è stata inventata, tuttavia non corrisponde ai fatti. Se avesse cercato di nascondersi, non si sarebbe presentato di sua spontanea volontà alla stazione di polizia. Sulla base della dichiarazione riscritta di S. W., viene fatto ricorso contro l’archiviazione delle indagini disposta dalla procuratrice e il 2 settembre 2010 viene dato nuovo avvio al procedimento penale per il reato di stupro. Alle due donne viene assegnato, a spese dello Stato, un rappresentante legale che si chiama Claes Borgström. Questi era un collaboratore dello studio legale dell’ex ministro della Giustizia, Thomas Bodström, sotto la cui egida la Polizia svedese per la Sicurezza interna aveva sequestrato, nel cuore di Stoccolma e senza seguire alcuna procedura legale, due uomini sospettati dagli Stati Uniti e li aveva consegnati alla Cia da cui in seguito furono torturati. E questo lo dico per meglio chiarire i retroscena transatlantici di quest’affare. Dopo il ripristino delle accuse di stupro, tramite il suo avvocato, Assange fa ripetutamente sapere che intende difendervisi. La procuratrice che si occupa delle indagini tira la questione per le lunghe. Una volta perché il pubblico ministero non trova spazio nella sua fitta agenda, un’altra perché l’ufficiale di polizia giudiziaria designato è ammalato. Fino a quando, tre settimane dopo, il suo avvocato scrive che Assange deve partire per Berlino per una conferenza e domanda se il suo cliente può lasciare il Paese. La Procura acconsente per iscritto comunicando che può uscire dalla Svezia per periodi di tempo limitati.
E dopo cos’è accaduto?
Il punto è: il giorno in cui Julian Assange lascia la Svezia, quando non è ancora chiaro se si tratterrà all’estero per un breve o un lungo periodo, contro di lui viene emesso un mandato di arresto. Sta viaggiando da Stoccolma a Berlino con Scandinivian Airlines quando, durante il volo, dal suo bagaglio registrato al check in spariscono i suoi laptop. Quando arriva a Berlino, Lufthansa chiede a SAS di effettuare dei controlli, ma la compagnia aerea si rifiuta palesemente di fornire qualsiasi informazione.
Perché?
È proprio questo il problema. In questo caso accadono continuamente cose che non dovrebbero essere possibili, a meno che non si cambi il punto di osservazione. Assange, in ogni caso, continua il suo viaggio e va a Londra, senza però sottrarsi alla giustizia, anzi, tramite il suo avvocato svedese, propone alla Procura diverse possibili date per essere interrogato in Svezia – questo scambio di corrispondenza è verificabile. Successivamente accade quanto segue: ad Assange arriva voce che negli Stati Uniti è stato aperto un procedimento penale segreto contro di lui. Allora gli Usa non confermarono questa notizia, ma oggi sappiamo che è vero. Da quel momento, il suo avvocato continua sempre ad affermare che Assange è pronto a testimoniare, ma che pretende, inoltre, la garanzia diplomatica che dalla Svezia non sarà estradato negli Stati Uniti.
Era uno scenario realistico?
Assolutamente. Qualche anno prima, come ho già accennato, la Polizia svedese per la Sicurezza interna, senza seguire alcuna procedura legale, aveva consegnato alla Cia due richiedenti asilo registrati in Svezia. Gli abusi ebbero inizio già nella zona aeroportuale, all’interno della quale furono maltrattati e drogati e da qui vennero trasportati in Egitto, dove furono torturati. Non sappiamo, se si sia trattato di casi unici. Ma siamo a conoscenza di questi casi, perché queste persone sono sopravvissute. Successivamente entrambi gli uomini sporsero querela alle agenzie delle Nazioni Unite per i diritti umani e vinsero la causa. A ciascuno di essi la Svezia fu costretta a pagare mezzo milione di dollari di risarcimento.
La Svezia ha accolto le richieste di Assange?
Gli avvocati affermano che alle autorità svedesi hanno proposto di far sì che il loro cliente raggiungesse la Svezia più di trenta volte nel corso dei sette anni in cui Assange ha vissuto nell’ambasciata dell’Ecuador – in cambio della garanzia che non sarebbe stato estradato negli Stati Uniti. Gli svedesi si sono rifiutati di fornire tale garanzia con l’argomento che gli Usa non hanno inoltrato alcuna domanda di estradizione.
Lei come giudica la richiesta degli avvocati di Assange?
Garanzie diplomatiche come questa, nella prassi internazionale, sono all’ordine del giorno. Si chiedono garanzie che qualcuno non venga estradato in un Paese in cui sussistono seri pericoli di violazione dei diritti umani, indipendentemente dal fatto che sia già stato emesso un mandato di arresto o meno dal Paese in questione. È una procedura politica, non legale. Un esempio: la Francia pretende dalla Svizzera che venga estradato un uomo d’affari di nazionalità kazaka, il quale vive in Svizzera ma è ricercato per evasione fiscale sia in Francia che in Kazakistan. La Svizzera non vede alcun pericolo di tortura in Francia, ma non in Kazakistan. Ecco che la Svizzera comunica alla Francia quanto segue: ve lo consegniamo ma vogliamo che ci sia garantito che non venga estradato in Kazakistan. A quel punto i francesi non rispondono: «Il Kazakistan non ha ancora emesso nessun mandato!», ma viene certamente garantito quanto richiesto. Gli argomenti accampati dagli svedesi erano inconsistenti. E questa è una prima questione. La seconda gliela racconto in virtù della mia lunga esperienza dietro le quinte della prassi internazionale: se un Paese nega tali garanzie, ci sono valide ragioni per dubitare della sua buona fede. Perché la Svezia non dovrebbe poter fornire questa garanzia? Dal punto di vista legale, dopotutto, gli Stati Uniti non hanno nulla a che vedere con il procedimento penale per il reato di stupro.
Perché la Svezia non volle dare questa garanzia?
Basti osservare come si è svolta la faccenda: alla Svezia non è mai importato nulla delle due signore. Anche dopo che gli fu negata la suddetta garanzia, Assange continuò a ribadire di voler testimoniare. Assange diceva: se non potete garantirmi che io non venga estradato, per essere interrogato resto a vostra disposizione a Londra o tramite video-conferenza.
Ma è normale, o in ogni caso è possibile dal punto di vista legale, che dei funzionari svedesi si rechino in un altro Paese per effettuare un interrogatorio come questo?
Ciò dimostra ulteriormente come la Svezia non sia mai stata interessata alla ricerca della verità: per tali questioni giudiziarie, tra il Regno Unito e la Svezia esiste un apposito trattato di cooperazione che prevede che per condurre gli interrogatori gli ufficiali giudiziari svedesi possano recarsi in Gran Bretagna, e viceversa, o che l’interrogatorio possa svolgersi per video-conferenza. A quest’ultima modalità, proprio in quel periodo, la Svezia e l’Inghilterra ricorsero in altri 44 casi. Soltanto con Julian Assange la Svezia ha insistito nel dire che era essenziale che si presentasse di persona.
3. Quando la Corte suprema di Svezia costringe la Procura di Stoccolma a formalizzare finalmente le accuse oppure ad archiviare il caso, le autorità britanniche avanzano la pretesa: «Non tiratevi indietro!!»
Perché insistettero?
Per tutto questo, per il rifiuto di fornire garanzie diplomatiche, per il diniego di interrogarlo a Londra, c’è una sola spiegazione: la volontà di catturarlo per poterlo estradare negli Stati Uniti. Il numero di violazioni della legge che si sono accumulate in Svezia nell’arco di poche settimane, durante le indagini preliminari, è assolutamente grottesco. Alle due signore è stato assegnato un rappresentante legale che ha spiegato loro che lo stupro è un delitto perseguibile d’ufficio, cosicché trarre le conseguenze penali di quanto hanno esperito è compito dello Stato e non loro. Quando al rappresentante legale viene fatta notare la contraddizione tra la testimonianza delle signore e la versione delle autorità, quello dichiara riferendosi alle due signore: «Ah, ma non sono mica delle giuriste». E, tuttavia, per ben cinque anni la Procura evita di interrogare Assange sullo stupro contestatogli, fino a quando i suoi avvocati fanno istanza alla Corte suprema di Svezia per costringere la Procura a formalizzare finalmente l’accusa oppure ad archiviare il procedimento. Quando gli svedesi comunicano agli inglesi che probabilmente saranno costretti a chiudere il caso, i britannici rispondono preoccupati: «Don’t you dare get cold feet!!» (Non azzardatevi a tirarvi indietro!!)
Dice sul serio?
Sì. Gli inglesi, in modo particolare il Crown Prosecution Service, volevano assolutamente dissuadere gli svedesi dall’abbandonare il caso. In realtà, avrebbero dovuto essere contenti di non spendere più milioni di denaro pubblico per sorvegliare l’ambasciata dell’Ecuador e per impedire così ad Assange di fuggire.
Perché gli inglesi non volevano che la Svezia archiviasse il caso?
Dobbiamo smettere di pensare che la questione centrale fosse l’indagine per un delitto sessuale. Ciò che ha fatto Wikileaks rappresenta una minaccia per l’élite politica degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia e della Russia in egual misura. Wikileaks pubblica informazioni che sono oggetto di segreti di Stato – i suoi membri si oppongono al principio di riservatezza. E tutto ciò, in un mondo in cui perfino nelle cosiddette democrazie mature la segretezza è cresciuta in modo incontrollato, è visto come una minaccia fondamentale. Assange ha chiarito che oggi gli Stati non sono più interessati a tutelare il diritto alla riservatezza, bensì a occultare importanti informazioni su vicende corruttive e criminose. Prendiamo l’emblematico caso Wikileaks legato alla documentazione fornita da Chelsea Manning: il cosiddetto «Colleteral Murder» video. (Nota della redazione: il 5 aprile 2010 Wikileaks pubblica un video classificato come segreto che mostra l’uccisione a Baghdad di diverse persone, tra queste anche due collaboratori della Reuters, da parte dei soldati Usa.) Sulla base della mia pluriennale esperienza di consulente legale del Comitato internazionale della Croce Rossa e di delegato nelle zone di guerra, posso dirle che abbiamo senza dubbio a che fare con un crimine di guerra. L’equipaggio di un elicottero falcia un gruppo di persone. È altresì possibile che sia soltanto uno o due di loro a portare un’arma e, ciò nonostante, si spara deliberatamente a delle persone ferite. Questo è un crimine di guerra. «He is wounded», sentiamo dalla bocca di un americano. «I’m firing.» E dopo ridono. Poi qualcuno arriva con un minibus per salvare i feriti. Il conducente è accompagnato da due bambini. Sentiamo i soldati dire: «È colpa loro se portano i bambini in battaglia». E dopo aprono il fuoco. Il padre e i feriti muoiono all’istante, i bambini sopravvivono ma sono gravemente feriti. Tramite la pubblicazione di questo video, diveniamo testimoni diretti di un massacro criminale e irragionevole.
Cosa dovrebbe fare uno Stato di diritto in un caso come questo?
Probabilmente, uno Stato di diritto indagherebbe Chelsea Manning per violazione del segreto d’ufficio, visto che ha trasmesso il video ad Assange. Sicuramente, però, non si scaglierebbe su quest’ultimo, Assange, infatti, l’ha divulgato nell’interesse pubblico, nello spirito del classico giornalismo d’inchiesta. Ma soprattutto, però, quello che farebbe uno Stato di diritto sarebbe perseguire e punire i criminali di guerra. Questi soldati andrebbero sbattuti in prigione. Ciò nonostante, contro nessuno di loro è stato aperto un procedimento penale. A essere detenuto a Londra in attesa di estradizione, invece, è l’uomo che ha informato l’opinione pubblica e che per questo motivo potrebbe finire condannato negli Stati Uniti a 175 anni di carcere. È una pena detentiva veramente assurda. A titolo di raffronto, basti pensare che i più importanti criminali di guerra imputati dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia hanno ricevuto una pena di 45 anni. Nel caso di Assange, sarebbero 175 anni di reclusione in condizioni detentive che il reporter speciale delle Nazioni Unite e Amnesty International definiscono disumane. Ma la cosa più terrificante in merito a questo caso è il vuoto giuridico che si è venuto a creare: i potenti possono calpestare impunemente chicchessia e il giornalismo è diventato spionaggio. Dire la verità equivale sempre più a compiere un crimine.
Cosa lo aspetta, se Assange viene estradato?
Non sarà sottoposto a un processo ispirato al rispetto dello Stato di diritto. Ed è anche per questa ragione che la sua estradizione non dovrebbe essere consentita. Sarà giudicato ad Alexandria, in Virginia, da una giuria, dalla famigerata «Espionage Court», innanzi alla quale gli Stati Uniti portano tutti i casi inerenti alla sicurezza nazionale. La scelta del luogo non è casuale, poiché i giurati vengono scelti in modo proporzionale rispetto alla popolazione locale, e ad Alexandria abita l’85 per cento dei membri della national security community, ovvero di chi lavora nella Cia, nell’Nsa, al Dipartimento della difesa e al Dipartimento di Stato. Se si viene accusati di violazione della sicurezza nazionale dinanzi a una giuria simile, il verdetto è chiaro fin dall’inizio. Il processo viene condotto sempre dal medesimo giudice unico, a porte chiuse e sulla base di prove segrete. In casi come questo, mai nessuno è stato assolto. Ecco perché la maggior parte degli imputati raggiunge un accordo con il quale finisce col dichiararsi almeno in parte colpevole e con l’ottenere così una pena più lieve.
Lei sta dicendo che negli Stati Uniti Assange non sarà sottoposto a un equo processo?
Senza dubbio. Fintantoché i dipendenti del governo americano si attengono agli ordini dei loro superiori, possono commettere guerre di aggressione, crimini di guerra e torture sapendo bene che non dovranno rispondere delle loro azioni. Cosa n’è stato della lezione imparata dai processi di Norimberga? Nelle zone di guerra ho lavorato abbastanza a lungo da sapere che, durante i conflitti, possono verificarsi degli errori. Non si tratta sempre di atti criminali sconsiderati, ma molte cose accadono a causa dello stress, del sovraffaticamento e del panico. Ecco perché capisco perfettamente che un governo dica: intendiamo certamente portare alla luce la verità e, come Stato, ci assumiamo la responsabilità del danno procurato, ma se non sarà possibile accertare colpe individuali, non infliggeremo pene draconiane. Se, invece, la verità è tenuta nascosta e i criminali non vengono messi di fronte alle loro responsabilità, la situazione si fa estremamente pericolosa. Negli anni ‘30 del secolo scorso, la Germania e il Giappone uscirono dalla Società delle Nazioni. Quindici anni dopo il mondo cadde in rovina. Oggi gli Stati Uniti sono usciti dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e né sul massacro del «Collateral Murder», né sulle torture commesse dalla Cia dopo i fatti del settembre 2011, né tanto meno sulla guerra di aggressione contro l’Iraq, sono state condotte delle indagini. In questo momento, il Regno Unito sta seguendo questo esempio: nel 2018, l’Intelligence and Security Committee del Parlamento britannico ha pubblicato due dettagliati rapporti che dimostrano come la Gran Bretagna fosse molto più coinvolta nei programmi segreti di tortura della Cia di quanto si era creduto fino ad allora. La commissione chiese un’inchiesta giudiziaria. Il primo atto di Boris Johnson da primo ministro è stato quello di annullare l’inchiesta.
4. Nel Regno Unito, in caso di violazione delle condizioni di libertà su cauzione, si viene puniti con una multa o al massimo due giorni di prigione. Assange, invece, con una procedura d’urgenza, viene condannato a 50 settimane di reclusione in una prigione di massima sicurezza, senza che si possa preparare a difendersi
Nell’aprile del 2019 Julian Assange è stato portato via di peso dall’ambasciata dell’Ecuador dalla polizia inglese. Qual è la sua opinione al riguardo?
Nel 2017, in Ecuador si insedia un nuovo governo. In seguito a ciò, il Congresso degli Stati Uniti scrive una lettera in cui afferma di essere lieto di poter cooperare con l’Ecuador. Certamente, c’è in ballo molto denaro, ma c’è anche un ostacolo di mezzo: Julian Assange. Gli Usa, così il messaggio, sono pronti a collaborare se l’Ecuador consegna loro Assange. Dal quel momento, nell’ambasciata dell’Ecuador, la pressione su Assange aumenta pesantemente. Gli rendono difficile la vita. Ma resta. In seguito, l’Ecuador gli revoca l’asilo politico e dà alla Gran Bretagna il via libera per arrestarlo. Poiché il precedente governo gli aveva concesso la cittadinanza ecuadoriana, si è provveduto a toglierli il passaporto, visto che la Costituzione dell’Ecuador proibisce l’estradizione dei propri cittadini. Tutto ciò accade di notte e senza rispettare alcuna procedura legale. Assange non può fare dichiarazioni o ricorrere a rimedi legali. I britannici lo arrestano e lo stesso giorno lo portano davanti a un giudice inglese che lo condanna per violazione delle condizioni di libertà su cauzione.
Cosa pensa di questo processo accelerato?
Assange ha avuto 15 minuti per preparsi con il suo avvocato. Il processo stesso è durato solo 15 minuti. L’avvocato di Assange mise sul tavolo un dossier corposo e sollevò un’obiezione formale contro una giudice ausiliare per una questione di conflitto di interessi, dal momento che suo marito, così l’avvocato, era stato oggetto delle rivelazioni fatte da Wikileaks in 35 casi. Il giudice accantonò i dubbi senza esaminarli. Disse che accusare una sua collega di conflitto di interessi era un affronto. Durante il processo, Assange pronunciò una sola frase: «I plead not guilty» (Mi dichiaro non colpevole). Il giudice si rivolse verso di lui e disse: «You are a narcissist who cannot get beyond his own self-interest. I convict you for bail violation» (Lei è un narcisista che pensa solo ai propri interessi. La condanno per violazione delle condizioni di libertà su cauzione).
Se ho capito bene, fin dall’inizio Assange non ha mai avuto nessuna chance?
È questo il punto. Non sto dicendo che Assange sia un angelo. O un eroe. Ma non occorre che lo sia. Il tema sono i diritti umani, non i diritti degli angeli o degli eroi. Assange è una persona e ha diritto di difendersi e di essere trattato umanamente. Di qualunque cosa si accusi Assange, ha diritto a un processo equo. Ma questo diritto gli è stato sistematicamente negato, tanto in Svezia, quanto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Ecuador. Anzi, per quasi sette anni, hanno lasciato che rimanesse nel limbo, a marcire dentro a una stanza. Poi, tutt’a un tratto, lo prelevano e, nel giro di qualche ora e senza che si possa preparare, lo condannano per violazione delle condizioni di libertà su cauzione, violazione che consisteva nell’aver ricevuto asilo diplomatico da un altro Paese membro delle Nazioni Unite poiché politicamente perseguitato, esattamente come prevede il diritto internazionale e così come è accaduto a innumerevoli dissidenti cinesi, russi e di altre nazionalità nelle ambasciate occidentali. È evidente che qui abbiamo a che fare con una persecuzione politica. In Inghilterra, è molto raro che una violazione delle condizioni di libertà su cautela venga punita con una pena detentiva, di regola viene applicata una multa. Assange, invece, con una procedura d’urgenza, è stato condannato a 50 settimane di reclusione in una prigione di massima sicurezza – una pena evidentemente sproporzionata che aveva un solo scopo: trattenere Assange per tutto il tempo necessario affinché gli Stati Uniti potessero preparare la loro causa per spionaggio contro di lui.
Come relatore speciale sulla tortura dell’Onu, come giudica le sue attuali condizioni di detenzione?
L’Inghilterra nega ad Assange la possibilità di mettersi in contatto con i suoi avvocati negli Stati Uniti, dove stanno segretamente preparando un processo contro di lui. Anche il suo avvocato britannico si lamenta che non riesce a vedere il suo cliente neppure per esaminare assieme a lui le richieste della Corte e le prove. Fino a ottobre, non gli era consentito tenere con sé, dentro la cella, neanche un solo documento dei suoi atti processuali. Gli è stato negato il diritto fondamentale di preparare la propria difesa, sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A ciò si aggiungono la detenzione in quasi completo isolamento e la pena detentiva totalmente sproporzionata per violazione delle condizioni di libertà su cauzione. Non appena usciva dalla cella, i corridoi venivano sgomberati per evitare che avesse contatti con altri detenuti.
E tutto ciò per una violazione delle condizioni di libertà su cauzione? Quando la reclusione diventa tortura?
Julian Assange è stato sottoposto a deliberate torture psicologiche da parte di Svezia, Inghilterra, Ecuador e Stati Uniti. Innanzitutto, tramite la gestione profondamente arbitraria dei processi contro di lui. Il modo in cui la Svezia ha gestito il caso, con l’attiva collaborazione dell’Inghilterra, mirava a metterlo sotto pressione e a trattenerlo in ambasciata. La Svezia non è mai stata interessata a scoprire la verità e ad aiutare quelle donne, ma voleva mettere Assange in un angolo. Si tratta di un abuso di procedimenti giudiziari volti a mettere una persona nella condizione di non potersi difendere. A ciò vanno aggiunte le misure di sorveglianza, gli insulti, le umiliazioni e gli attacchi da parte dei politici di questi Paesi – minacce di morte incluse. Per Assange, questo costante abuso di potere statale è stato fonte di seri episodi di stress e ansia e gli ha causato disturbi cognitivi e neurologici misurabili. Nel maggio del 2019 ho fatto visita ad Assange, nella sua cella a Londra, assieme a due medici esperti, rispettati in tutto il mondo e specializzati nella disamina forense e psicologica delle vittime di tortura. La diagnosi dei due medici è stata univoca: Assange mostrava i sintomi tipici della tortura psicologica. Se entro poco tempo non riceve alcuna protezione, così i medici, le sue condizioni di salute sono destinate a peggiorare rapidamente fino al decesso.
Nel novembre del 2019, quando erano già sei mesi che Assange era detenuto a Londra in vista dell’estradizione, la Svezia abbandona improvvisamente il caso. Dopo nove lunghi anni. Cos’è accaduto?
Per quasi un decennio, lo Stato svedese ha intenzionalmente messo Julian Assange alla gogna come un molestatore sessuale. Poi, all’improvviso, il caso viene archiviato con lo stesso argomento utilizzato dalla procuratrice di Stoccolma nel 2010 quando, dopo appena cinque giorni, questa archiviò il caso per la prima volta: la testimonianza della signora è attendibile ma non ci sono prove che sia stato commesso un reato. È uno scandalo incredibile. Ma il tempismo non è stato casuale. L’11 novembre è stato pubblicato un documento ufficiale che avevo inviato al governo svedese due mesi prima. In questo documento invitavo il governo della Svezia a fornire spiegazioni su 50 punti con cui chiedevo ragione della conformità del suo modo di condurre il caso con i diritti umani. Com’è possibile che la stampa sia stata informata di tutto, sebbene sia vietato farlo? Com’è possibile che un sospetto diventi pubblico, se l’interrogatorio non ha ancora avuto luogo? Com’è possibile che affermiate che si tratta di stupro, se la donna implicata contesta questa versione dell’accaduto? Il giorno in cui è stato pubblicato il documento, ho ricevuto una risposta scarna: in merito a questo caso, il governo non fa ulteriori commenti.
Cosa significa questa risposta?
È un’ammissione di colpa.
Perché?
Come relatore speciale dell’Onu sulla tortura, sono stato incaricato dalla comunità internazionale delle nazioni di esaminare le denunce presentate dalle vittime di tortura e, se necessario, di chiedere chiarimenti o accertamenti ai governi. Questo è il lavoro che svolgo ogni giorno con tutti gli Stati membri dell’Onu. In base alla mia esperienza, posso dire che i Paesi che agiscono in buona fede hanno quasi sempre interesse a fornirmi le risposte di cui ho bisogno per rilevare la legittimità della loro condotta. Se uno Stato, come in questo caso la Svezia, si rifiuta di rispondere alle domande poste dal relatore speciale dell’Onu sulla tortura, ciò significa che il governo è consapevole dell’illegittimità del suo comportamento e che non se ne vuole assumere la responsabilità. Poiché sapevano che non avrei desistito, una settimana dopo hanno tagliato la corda e hanno archiviato il caso. Se uno Stato come la Svezia si fa manipolare in questo modo, allora significa che le nostre democrazie e i nostri diritti umani sono profondamente minacciati.
Lei crede che la Svezia era totalmente consapevole di quello che stava facendo?
Sì. Dal mio punto vista, la Svezia ha palesemente agito in cattiva fede. Se avessero agito in buona fede, non ci sarebbe stata alcuna ragione di negarmi le risposte. Lo stesso dicasi per i britannici: dopo la mia visita ad Assange nel maggio del 2019, ci hanno messo cinque mesi per rispondermi. E lo hanno fatto con una lettera di una sola pagina in cui, sostanzialmente, si limitavano a respingere tutte le accuse di tortura e tutte le incongruenze riscontrate nelle procedure penali. Se fai questi giochetti, a cosa serve il mio mandato? Io sono il relatore speciale sulla tortura delle Nazioni Unite. Ho l’incarico di fare domande chiare e di esigere delle risposte. Qual è il principio giuridico in forza del quale si può negare a qualcuno il diritto fondamentale di potersi difendere? Perché un uomo che non è pericoloso né violento è detenuto per mesi in regime di isolamento, se le norme delle Nazioni Unite lo vietano per periodi più lunghi di quindici giorni? Nessuno di questi Stati membri dell’Onu ha aperto un’indagine, né ha risposto alle mie domande o anche solo cercato il dialogo.
5. 175 anni di reclusione per giornalismo d’inchiesta e l’impunità per i crimini di guerra: il caso Usa vs. Assange rischia di creare un precedente
Cosa significa quando degli Stati membri dell’Onu rifiutano di dare informazioni al proprio reporter speciale sulla tortura?
Che si tratta di un piano concertato. Tramite un processo dimostrativo, si intende infliggere a Julian Assange una punizione che sia esemplare. L’intento è di intimorire altri giornalisti. L’intimidazione, d’altronde, è uno degli scopi principali per cui la tortura è usata in tutto il mondo. Il messaggio diretto a tutti noi è: questo è quello che vi accadrà se emulate il modello Wikileaks. Un modello che è molto pericoloso, giacché è molto semplice: persone che acquisiscono informazioni sensibili su governi o imprese le trasmettono a Wikileaks e l’informatore rimane anonimo. Che ciò rappresenti una grande minaccia, lo dimostra la loro reazione: quattro Stati democratici – Stati Uniti, Ecuador, Svezia e Gran Bretagna – uniscono tutte le loro forze per far passare un uomo come un mostro, perché in seguito possa essere bruciato sul rogo senza che si levino urla di protesta. Questo caso è uno scandalo gigantesco ed è la dichiarazione di fallimento dello Stato di diritto dell’Occidente. Se Julian Assange verrà condannato, per la libertà di stampa sarà una sentenza di morte.
Cosa significherebbe questo possibile precedente per il futuro del giornalismo?
Concretamente che Lei, come giornalista, da quel momento in avanti dovrà difendersi. Poiché, una volta che il giornalismo d’inchiesta sarà classificato come spionaggio e potrà essere perseguito in tutto il mondo, seguiranno censura e tirannide. Davanti ai nostri occhi si sta creando un sistema omicida. I crimini di guerra e le torture non vengono perseguiti. Su YouTube stanno circolando dei video in cui dei soldati americani si vantano di aver spinto al suicidio delle prigioniere irachene dopo averle sistematicamente stuprate. Nessuno indaga su questo. Al contempo, una persona che porta alla luce queste cose viene minacciata con 175 anni di prigione. Per un decennio viene subissata di accuse che non possono essere dimostrate, che la devastano. E nessuno ne risponde, nessuno se ne prende la responsabilità. È un’erosione del contratto sociale. Noi trasferiamo il potere agli Stati, lo deleghiamo ai governi – ma, in cambio, questi devono renderci conto di come lo esercitano. Se non lo esigiamo, presto o tardi perderemo i nostri diritti. Gli uomini, per natura, non sono democratici. Il potere corrompe se non viene sorvegliato. Se non insistiamo affinché il potere venga sorvegliato, il risultato è la corruzione.
Lei sta dicendo che l’attacco ad Assange colpisce al cuore della libertà di stampa.
Pensi a dove saremo tra vent’anni se Assange viene condannato. A cosa potrà scrivere ancora da giornalista. Sono convinto che stiamo correndo il serio pericolo di perdere la libertà di stampa. Sta già accadendo: improvvisamente, in Australia, il quartier generale di ABC News viene perquisito per una questione legata al «diario di guerra afghano». Il motivo? Ancora una volta, la stampa ha svelato la cattiva condotta di rappresentanti dello Stato. Affinché la separazione dei poteri funzioni, occorre che il potere dello Stato venga sorvegliato da parte di una stampa libera come quarto potere dello Stato. Wikileaks è una logica conseguenza di un processo: se la verità non può più essere sviscerata perché tutto è coperto da segretezza, se i risultati delle inchieste sul ricorso alla tortura da parte del governo degli Stati Uniti vengono tenuti nascosti e perfino molte parti del riassunto pubblicato vengono occultate, è inevitabile che, prima o poi, si apra una falla. Wikileaks è il risultato della riservatezza dilagante e riflette la mancanza di trasparenza nel nostro sistema politico moderno. Certamente, ci sono ambiti nei quali la riservatezza può essere vitale. Ma se non sappiamo più cosa i nostri governi stiano facendo e secondo quali criteri stiano agendo e se i crimini non vengono più perseguiti, allora l’integrità sociale è messa in grave pericolo.
Quali sono le conseguenze?
Come reporter speciale dell’Onu sulla tortura e, prima ancora, come delegato del Comitato internazionale della Croce Rossa, ho già visto molti orrori e molta violenza. E ho visto con quale rapidità Paesi pacifici come la Jugoslavia o il Ruanda possono trasformarsi in un inferno. Alla radice di questi sviluppi ci sono sempre la mancanza di trasparenza e apparati di potere politico o economico incontrollati in combinazione con l’ingenuità, l’indifferenza o la manipolabilità della popolazione. All’improvviso ciò che oggi succede sempre agli altri – torture impunite, stupri, espulsioni e omicidi – può facilmente accadere anche noi o ai nostri figli. E ciò non importerà a nessuno. Glielo posso assicurare.