di Orietta Vanin – Quando nel giugno del 2019 i Giochi Olimpici invernali del 2026 sono stati assegnati al binomio Milano-Cortina si disse che l’Italia aveva vinto sulla (a dire il vero sparuta) concorrenza grazie alle caratteristiche innovative della manifestazione: sarebbero state “Olimpiadi Green” (cioè all’insegna delle energie rinnovabili), “sostenibili” (improntate all’economia circolare e con il riuso degli impianti sportivi esistenti), “diffuse” (cioè non gravanti su un’unica città, ma distribuite in modo da non avere conseguenze impattanti sui territori) e “low cost” (coinvolgendo soprattutto gli sponsor privati, per non pesare eccessivamente sulle casse dello Stato). Tutti questi requisiti erano stati richiesti esplicitamente dal CIO (Agenda Olimpica 2020/Nuove norme del CIO), da un lato per soddisfare le continue richieste da parte dell’opinione pubblica mondiale affinché anche lo sport faccia la sua parte nella lotta ai cambiamenti climatici, dall’altro allo scopo di agevolare la candidatura di nuove città (che nelle ultime edizioni latitavano), sempre più spaventate dagli oneri legati all’organizzazione di grandi eventi internazionali.
Tuttavia, un po’ alla volta e quasi in sordina, si è assistito (soprattutto durante il Governo Draghi) a tutta una serie di leggi e decreti-legge di finanziamento e rifinanziamento dei Giochi (da ultimo il decreto Aiuti-bis per 400 milioni di euro) che, a tutt’oggi, hanno portato l’importo economico a carico dello Stato ad oltre 2 miliardi di euro, e con il progressivo arretramento del contributo degli sponsor privati (unico sponsor, ad oggi, una catena di supermercati).
A questo è andato a sommarsi un progressivo ampliarsi degli interventi di nuova edificazione (contrariamente a quanto asserito in sede di candidatura):
- Primo fra tutti l’intervento di realizzazione della nuova pista da bob di Cortina d’Ampezzo (perché di realizzazione ex novo si tratta, con demolizione e successiva ricostruzione della storica pista “Eugenio Monti”), al posto della rifunzionalizzazione della pista di Cesana Pariol, impiegata nei Giochi olimpici di Torino 2006 e costata, all’epoca, 110 milioni di euro;
- la copertura dell’impianto per il pattinaggio di velocità di Baselga di Piné (TN) “Ice Ring Oval” (quando poteva essere impiegata l’Arena Civica di Milano);
- il villaggio olimpico di Fiames (BL) in area a rischio idrogeologico;
- il palazzetto dello sport PalaItalia nel quartiere milanese di Santa Giulia;
- l’ampliamento di due bacini artificiali a Cortina per produrre neve da sparare sulle piste;
- il nuovo impianto a fune di Socrepes (BL);
- la realizzazione di tutta una serie di strade che, molto probabilmente, saranno ultimate ben oltre il 2026 (come le Varianti di Cortina, Longarone, Lecco-Bergamo e la Tangenziale di Bormio).
E, contrariamente a quanto affermato in sede di candidatura in tema di sostenibilità, l’art. 16 del DL 121/2021 estende le procedure semplificate previste dal PNRR (art. 44 DL 77/2021) anche alle opere olimpiche, riducendo ai minimi termini i controlli dell’impatto sull’ambiente e sugli ecosistemi delle nuove costruzioni, proprio in un momento in cui la crisi climatica sta colpendo soprattutto la montagna e con alcuni ambiti che sono pure Patrimonio UNESCO (come le Dolomiti).
Come ridotti ai minimi termini sono pure il dibattito pubblico e la trasparenza: esempio lampante è l’esclusione delle associazioni di protezione ambientale dalle conferenze di servizi per lo “Strip Out” della pista da bob di Cortina.
Ma è la stessa memoria olimpica e sportiva che rischia di essere tradita da questa impostazione “modernista” dei Giochi.
Infatti i progetti presentati prevedono la demolizione di uno degli emblemi dei VII Giochi Olimpici invernali (Cortina 1956), la storica pista da bob “Eugenio Monti” che ha le sue origini nel lontano 1923, e la radicale trasformazione del trampolino “Italia”,
che verrà riconvertito in una carnevalesca “Medal Plaza”, mentre lo storico Stadio olimpico del Ghiaccio già è stato “rovinato” all’inizio degli anni Duemila con la costruzione della copertura in acciaio dall’improbabile tinta bluette.
Da questo punto di vista va ricordato come questi tre impianti (pista da bob, trampolino e stadio del ghiaccio) siano le uniche strutture sportive permanenti costruite per i Giochi del 1956 (i primi in Italia); per tutte le altre discipline si adottarono all’epoca soluzioni rimovibili e provvisorie quali, ad esempio, quelle per il pattinaggio di velocità sul Lago di Misurina e quelle per lo sci di fondo nella piana di Campo, che non hanno provocato nessuna conseguenza ambientale alla fine della manifestazione.
Il paradosso, quindi, è che se Cortina verrà ricordata un giorno per un’edizione “sostenibile” dei Giochi Olimpici invernali, lo sarà per l’edizione del 1956 e non certo per quella del 2026.