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Lo Stato e la mafia rinviati a giudizio dopo vent’anni per i loro rapporti. Nelle aule del tribunale di Palermo sfileranno dal 27 maggio senatori, ex ministri, vertici del Ros, generali e colonnelli che avrebbero dovuto difendere la Repubblica.
“Stato e mafia sono andati a braccetto per oltre 40 anni. Ma dovevano incontrarsi in clandestinità ché, si sa, in Paese si parla. Così come amanti il loro rapporto è andato avanti e come in tutte le coppie, con alcuni screzi oggi ti ammazzo un magistrato, domani mi arresti un boss ma fondamentalmente con una convivenza anche abbastanza civile. Ci si sedeva allo stesso tavolo a spartirsi il manciare, ci si aiutava in un rapporto mutualistico. Insomma, una vera e propria coppia di fatto. E poi che ci fu? Ci fu che qualcuno, nell’est europeo, ha deciso di fare saltare il tavolo sul quale s’era poggiato il mondo sin dal dopoguerra. Si disgrega l’Unione Sovietica e gli stati satelliti e un giorno il mondo s’è svegliato con un muro in meno e nuove regole da creare sulle ceneri delle precedenti. E l’Italia è crollata appresso a tutto il resto. Fino ad allora lo Stivale era stato un buon campo di battaglia per le due fazioni in cui era diviso il globo, un terreno sperimentale sito nell’avamposto dell’Occidente a pochi passi dal comunismo. E, fra gli esperimenti, c’era quel rapporto con la mafia. Quei goodfellas affidabili, utili all’occorrenza ma che, senza comunista da tenere a bada, non erano più dei partner strategici. Così, sulla soglia delle nozze d’oro, Stato e mafia litigano. E per la prima volta, nel gennaio 1992, lintera Cupola si trova con gli ergastoli definitivi sulle spalle.
Mafia: Non mi ha più garantita, ma che cos’è? Quella sentenza della Cassazione non doveva andare così. Me l’avevi promesso…
Stato: Eh, abbiamo fatto tutto il possibile, ma non c’è stato niente da fare. Poi quel Falcone… pareva che avesse finito di rompere i coglioni e, invece, è venuto a casa mia. Sì, a Roma. E si inventa: carcere per tutti gli indiziati di te, e finirono gli arresti domiciliari; ha ricalcolato i termini di custodia, così ho dovuto riportare in carcere un bel po’ di voi; i benefici per i pentiti e la Dda in cui i magistrati tutti sanno tutto di te e pure la Dna perché dicono che sei un fenomeno nazionale per non parlare della Dia… sbirri tutti dedicati a te; pure la norma sui prestanome s’è inventato e poi, quel 41 bis, ma che è brutto anche solo a sentirlo nominare. Ma stai tranquilla, queste cose non passeranno mai. Parola d’onore.
Mafia: Onore?! Ma di cosa stai parlando, tu non sai nemmeno cosa vuol dire onore per me! Ora ti faccio vedere io. Non hai voluto fare come ti dicevo? Ora mi devo togliere i sassolini dalle scarpe. Sassolini… belli pietroni!
Stato: No, aspetta. Possiamo ancora farcela, certo ad aprile ci sono le elezioni…
Mafia: Elezioni sta minchia! Tu sei finito. Guarda i tuoi uomini, sono tutti vecchi, molli, stanno cadendo come pere sfatte. E se non cadono, non ti preoccupare, li taglio io i rami. Tutti fuori dalla sella li voglio! La gente non ci deve credere più in te e ricordati che qua, in Sicilia, lo stato sono io! Salutamu.
Sotto i colpi dei killer il 12 marzo 1992, a Mondello, cade Salvo Lima, leader della corrente andreottiana in Sicilia e indicato da numerosi documenti come referente politico principale di Cosa Nostra. Qualcuno comincia a farsela sotto. Anche perché cominciano a girare documenti. Si parla di piano destabilizzante l’ordine repubblicano e si fanno anche i nomi dei prossimi rami da tagliare. Calogero Mannino, ministro dell’ultimo governo Andreotti e leader della sinistra Dc nell’Isola, è nella lista. Per salvarsi la pelle, chiede aiuto al capo del Ros dei carabinieri, Antonio Subranni, e anche ai servizi segreti, rappresentati da Bruno Contrada. E mentre i picciotti sono in giro a Roma per cercare di seccare uno a scelta fra Costanzo, Falcone e Martelli, arriva l’ordine di tornare alla base. C’erano cose grosse da sbrigare. Esplosive.
Stato: Ma che fai, m’ammazzi Falcone?! Ma sei diventata pazza?
Mafia: Avanti, non fare il verginello, che m’hai anche dato una mano.
Stato: Non ti consento di fare certe insinuazioni…
Mafia: Se va bé… e io come facevo a sapere che stava arrivando?
Stato:
Mafia: Lo vedi! Comunque, sei debole, noi siamo più forti. Ormai l’hanno capito tutti.
Stato: Aspetta un minuto, parliamone. Che cosa vuoi per farla finita?
Mafia: Ora cominciamo a ragionare. Intanto che fa, me li togli dai coglioni questo Scotti, questo Martelli e Andreotti poi… deve sparire dalla scena, altrimenti ci penso io… già, come vedi, non l’ho fatto diventare il tuo capo.
Stato: No! No! Ok, ora vediamo.
Dopo la strage di Capaci il ministro Claudio Martelli firma il decreto Falcone che contiene tutte le intenzioni del giudice da applicare nel concreto alla lotta alla mafia. Norme che restano in parte lettera morta, soprattutto sul carcere duro. Il 28 giugno Giuliano Amato forma il nuovo governo, Scotti passa agli Esteri ma Martelli resta. Intanto il Ros dei Carabinieri cerca Vito Ciancimino per cercare di capire come finire con questo muro contro muro. Di questa iniziativa viene a conoscenza Paolo Borsellino (http://www.youtube.com/watch?v=BQkv3iy4TsE), amico, braccio destro e erede naturale di Falcone, tramite Liliana Ferraro, succeduta a Falcone nella poltrona di direttore degli affari penali al ministero di Giustizia, alla quale il Ros chiede una copertura politica da parte di Claudio Martelli.
Mafia: Ma chi mi hai mandato, ma chi sono questi?
Stato: Credimi, ne so poco, ho saputo che sono andati da Ciancimino e che vanno a bussare alle porte dei ministri per cercare coperture…
Mafia: E Martelli, che ci fa ancora là?
Stato: Eh, sì… dammi un po’ di tempo, non è così facile come per te… tu decidi, parti, ammazzi, torni a casa. Io c’ho ministri, presidenti, parlamentari…
Mafia: E non me ne fotte niente. E allora? Che risposta mi dai, mi pare di averti fatto un bello papello.
Stato: Eh, va bè, così, come si fa? Ci vorranno anni…
Mafia: Ma tu lo sai che noi abbiamo la stessa età
Stato: Ma ora non si può fare niente… e poi, ormai si sa, lo sa anche quello che meno di tutti doveva saperlo. A volte i miei dipendenti, quando prendono l’iniziativa, finiscono per combinare guai.
Mafia: E a quello ci pensiamo noi… come abbiamo sempre fatto! Che… tu scurdasti Dalla Chiesa? E La Torre… che ti stava sui coglioni anche a te! E tutte quelle cose che ho fatto per te?! Io mi sono preso sempre la mia responsabilità e anche questa volta lo farò ma sappi una cosa…
Stato: Cosa?
Mafia: Non ci fermeremo mai
Alle 18 del 19 luglio 1992 salta in aria via D’Amelio a Palermo e con essa anche Paolo Borsellino e la sua scorta. La stessa notte, dalle celle dell’Ucciardone dove avevano appena finito di bere lo champagne per festeggiare, vengono trasferiti i primi detenuti nell’isola di Pianosa al 41bis.
Mafia: E allora? Ma che dobbiamo fare?
Stato: No, guarda, stavolta hai esagerato.
Mafia: Di nuovo? Che fai finta di niente?
Stato: La situazione è messa male, devi avere un po’ di pazienza, fermati un attimo e vediamo se possiamo trovare un accordo.
Mafia: Va bene, io mi fermo per un po’, tranne qualche altro sassolino che mi devo togliere, ma tu non ti preoccupare, questi sono affari interni nostri. Sono cose nostre.
Stato: Aspetta che mi riprendo, ora, così, non posso muovermi, mi sono spiegato?
Mafia: E amunì, vedi di sbrigarti che qua i picciotti si lamentano… e si lamentano assai!
Cosa nostra, sotto la sua superficie ruvida e compatta si spacca. La strategia delle bombe sta solo portando enormi sofferenze ai carcerati. Che si fanno sentire. Tre giorni dopo la morte di Borsellino il Ros bussa alla porta della Presidenza della Consiglio parlando con Fernanda Contri dei contatti avviati con Ciancimino, il portavoce della Cupola. Non sarà lunica. In ottobre anche il Presidente della Commissione Antimafia Luciano Violante viene informato dal Ros degli incontri con lex-sindaco di Palermo.
La trattativa avviata dal Ros cambia l’interlocutore finale: con il sanguinario Riina non ci sono margini di trattativa, anzi, in questo momento rappresenta un danno per la stessa organizzazione. Meglio puntare su Bernardo Provenzano, più ragioniere, avvezzo a badare agli affari e che con lo Stato ci ha sempre dialogato. Attorno a lui potrebbe organizzarsi una nuova mafia che deve rispettare le regole di quella vecchia: niente scruscio. Così il 15 gennaio Totò Riina viene arrestato dal Ros a pochi metri da casa sua, dove nessuno dei carabinieri entra per 18 giorni.
Mafia: Sei stato bravo! Complimenti, non me l’aspettavo…
Stato: Fai pure ironia? Sai anche tu che non c’erano alternative, a quello gli era partita la testa.
Mafia: Non ti preoccupare che ce ne sono altri… ti pare che è finita qua?! Dammi un pochino di tempo e vedi che minchia ti combino. Qua i picciotti dalle carceri continuano a lamentarsi. E che è sta cosa? La vogliamo finire?
Stato: Eh va bé, lasciamelo dire, te la sei cercata. Ora, però, stai tranquilla che con questo colpo abbiamo dato un bel po’ di calmante alle persone. Abbiamo preso il ‘maggiordomo’. È dietro le sbarre. Vedrai che piano piano la gente comincerà a pensare ad altro…
Mafia: Ti do quattro mesi di tempo, dopo di che… non puoi immaginare…
Stato: Si, ho capito. L’importante ora è non fare altre cazzate, la gente deve immaginare che hai accusato il colpo.
Mafia: Certo, intanto io mi faccio qualche riunione… vediamo che ne viene fuori.
Stato: Fai come vuoi, sai che non sono mai stato geloso
A Febbraio 1993 Martelli viene costretto alle dimissioni perché raggiunto da un avviso di garanzia per una vecchia storia di tangenti, al suo posto va Giovanni Conso. I vertici del Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria, vengono sostituiti. Al posto di Nicolò Amato e Edoardo Fazioli, arrivano Adalberto Capriotti (vecchio magistrato di Trento) e Franco Di Maggio, magistrato d’assalto a Milano nei primi anni ’80 finito poi all’Alto commissariato antimafia. Di Maggio non aveva i titoli per ricoprire quell’incarico ma ci pensa il presidente della Repubblica in persona, Oscar Luigi Scalfaro, che nominandolo in pochi minuti dirigente generale alla Presidenza del Consiglio lo fa salire di grado. Ma è già troppo tardi. A Firenze il 27 maggio una bomba fa cinque morti. Pochi giorni prima Maurizio Costanzo sfugge ad un attentato. Il 2 giugno, giorno dellanniversario della nascita della Repubblica, unautobomba viene fatta ritrovare a cento metri da Palazzo Chigi. Negli stessi giorni 140 detenuti escono dal 41bis. Alcuni di loro risultano essere legati ad organizzazioni mafiose.
Stato: T’avevo detto di stare ferma, dai cazzo.
Mafia: Ehhhh, ma io non te l’avevo detto pure…
Stato: Ma non ha visto, Martelli se n’è andato e sulle carceri ci sto già pensando…
Mafia: Eh, ma che vuoi?! I picciotti con le mani in mano non ci sanno stare…
Stato: Ma quel casino, per Costanzo?
Mafia: Ci dovevo pur dare qualcosa da fare… lo volevamo solo fare scantare.
Stato: Sì, spaventare, a Firenze sono morte cinque persone
Mafia: E tante altre in più ce ne saranno se non ti smuovi. Sto perdendo la pazienza… anzi sai che ti dico… succederanno cose clamorose. In tutta Italia!
La notte del 28 luglio tre esplosioni simultanee avvengono a Roma, davanti la Basilica di S.Giovanni e la chiesa del Velabro, e a Milano, vicino al museo darte contemporanea: cinque morti.
Nellagosto del 1993 qualcuno avverte del pericolo di una tacita trattativa tra Mafia e Stato. E il capo della DIA Gianni De Gennaro che invia un report al ministro Mancino che a sua volta lo gira a Luciano Violante.
Stato: E ma ora basta! Pure le chiese! E a Milano, cinque persone che non c’entravano niente, ma che vuoi fare? Hai visto che ti ho levato un po’ di persone dal 41 bis?
Mafia: Tu mi devi dare, anzi, mi devi ridare il mio potere. Lì, dove sei tu, a Roma. E continuare a levare i miei dal 41 bis. U capisti?
Stato: Si, qua, a Roma… ma tu non hai capito che ormai il potere è a Milano. Vedi che casino che stanno facendo con sta ‘mani pulite’? Io pure a questo devo badare. Se rivuoi il tuo potere tu devi andare a Milano, qua stiamo raccogliendo i cocci e, facendo, così, i tuoi problemi te li potrò risolvere solo più in là.
Mafia: Minchia, sei un quaquaraquà, io mi posso solo fidare dei miei compaesani.
Sul finire dell’estate Cosa nostra si organizza per fare un suo partito. Basta rappresentanza indiretta, i boss vogliono essere loro stessi a sedere a Montecitorio in modo da non incappare più nei politici traditori. Ma, di contro all’idea del partito-mafia, qualcosa di nuovo si affaccia. Forse cè unaltra strada. Mentre altri 340 detenuti, aderenti a Cosa nostra, ndrangheta e camorra, escono dal 41 bis. Il ministro Conso, indagato per falsa testimonianza, dice che prese quella decisione da solo e per dare un segnale di distensione, allinterno della mafia cerano due fazioni, una più violenta laltra più moderata.
Stato: Ho saputo che ti stai sistemando…
Mafia: Sì, ma non credere che è finita qui, io di prese per il culo non ne voglio più sapere.
Stato: Io, con i miei uffici, quello che potevo fare l’ho fatto.
Mafia: Sì, ma qua ancora siamo lontani. Non ti dimenticare che ti colpisco quando voglio… e stavolta… non te lo puoi immaginare.
Stato: Ma insomma, le cose si stanno mettendo meglio, se pensi un anno fa… e poi l’ultima bomba l’hai messa tre mesi fa!
Nel gennaio del 1994 un ordigno di potenzialità devastante piazzato a pochi metri dallo Stadio Olimpico sarebbe dovuto esplodere alla fine di un incontro di serie A uccidendo centinaia di carabinieri in servizio di ordine pubblico.
Mafia: U viristi! Posso sempre farti un danno che manco te l’immagini! Va, per stavolta te la sei evitata
Stato: Grazie! Io l’ho capito che volevate dare l’ultima spinta, l’ultimo lancio. Grazie per non averlo fatto.
Mafia: Non c’è di che!
Stato: Ma ora, è chiaro, come dai patti… un po’ di voi li dobbiamo togliere dalla circolazione. Sono teste calde, troppo pericolosi, io con loro non posso averci a che fare. Così tu sopravviverai e io sopravviverò e magari potremo tornarci a incontrare come ai vecchi tempi. L’hai capito che serve tempo e poi tutto sarà come prima. Tutto cambierà per restare tutto uguale, proprio come piace a te!
Mafia: E va bé! Però devono stare belli comodi! Non facciamo che ci levate i piccioli a questi… acchiappateli ma le loro famiglie non devono mai più avere problemi. Come ai vecchi tempi. Ci siamo capiti.
Stato: Sì, certo, sono serio io che ti pare…
Mafia: Talè, non mi fare parlare… Salutamu!
Negli ultimi mesi del 1993 il boss Vittorio Mangano, ex-stalliere ad Arcore, riallaccia i contatti con il suo vecchio amico Marcello DellUtri.
Sul finire del gennaio 1994 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, registi delle stragi in continente, vengono arrestati a Milano mentre cenano in un noto ristorante. Con tutti i covi che potevano trovare in Sicilia, hanno deciso di passare la latitanza nella capitale meneghina, accompagnando il figlio di un loro amico a fare un provino nel Milan.
Leoluca Bagarella, altro frontman della strategia stragista, viene arrestato nel 1995. L’anno dopo tocca a Giovanni Brusca, il boia di Capaci. Bernardo Provenzano conquisterà la leadership della nuova Cosa nostra mentre giovani e vecchi boss vengono arrestati: tutti tranne lui. Fino al 2006 quando terminerà la sua latitanza durata 43 anni. Lo troveranno, incredibile ma vero, a Corleone dove il vecchio boss aspetta, seduto su una sedia, ormai troppo malato per farsi curare in latitanza. Ma ce n’è ancora uno. Matteo Messina Denaro. Ha dato man forte, cervello e braccia, per fare le stragi. Si dice sappia cose disdicevoli.
Stato: Meglio lasciarlo dov’è…
di
Andrea Cottone
Nicola Biondo
“Il testo sopra riportato è liberamente ispirato al contenuto degli atti depositati al gup di Palermo, dott. Piergiorgio Morosini, nell’ambito dell’udienza preliminare sulla trattativa Stato-mafia che si celebra a Palermo“.