“I dati sull’occupazione tra i 25 e i 34 anni sono rivelatori. A novembre 2015 il tasso di disoccupazione è infatti in discesa del 2,1%, ma nello stesso tempo il tasso di inattività è in crescita del 2,2%, mentre l’occupazione in quella fascia d’età cala del 0,2%. I dati complessivi sul mondo del lavoro non sono molto diversi. È vero che il tasso di disoccupazione è calato nell’ultimo anno dal 13,1% (massimo storico) all’11,3%, ma nel frattempo il tasso di inattività è salito dal 35,8% al 36,3%, e in termini assoluti di +139 mila unità, con un aumento dell’occupazione molto meno accentuato di quanto fa intendere il Governo (+206 mila unità, contro il quasi mezzo milione che vanta il Governo sbandierando il calo del tasso di disoccupazione).
VIDEO Linformazione sotto controllo, di Luisella Costamagna
Il mistero è di facile soluzione: il tasso di disoccupazione non considera gli inattivi, cioè coloro che il lavoro non lo cercano più perché scoraggiati. Quando si parla del mondo del lavoro, quindi, è d’obbligo guardare i dati nel loro insieme, senza dimenticare il tasso d’inattività e il numero reale degli occupati. Va poi considerato che l’ultimo anno ha visto il dispiegarsi di tre effetti positivi per la nostra economia che nulla hanno a che fare con l’azione di Governo. Si tratta del calo imprevisto del prezzo del petrolio, della svalutazione dell’euro e del contenimento dei tassi di interesse garantito dalla Bce con il Quantitative Easing. In queste condizioni internazionali favorevoli aver guadagnato nell’ultimo anno a malapena 200 mila occupati, a fronte di un aumento dei disoccupati di 1 milione e 775 mila unità dal gennaio 2008, è un risultato disastroso. Ma se a stentare è l’intero mercato del lavoro, per i giovani l’ultimo anno, nonostante tutte le premesse positive, è stato ancora ancor più negativo, con il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) ancora sopra il 40% ad ottobre. Nella fascia 18-29 anni, in un certo senso la più importante dell’intero mondo del lavoro, il tasso percentuale dei Neet (Not in Education, Employment, Training; ovvero giovani non studenti né occupati né in formazione), è salito negli ultimi dieci anni dal 22,8% al 31,1% (+8,3%). Da qualunque lato lo si guardi il mondo del lavoro rimane in enorme sofferenza.
Il lieve recupero di occupati non è da imputare al Jobs Act, che ha il solo effetto di sostituire contratti precari con altri ancora più precari, ma ad una fortunata e irripetibile congiuntura che già ora sta vedendo svanire i suoi effetti, dato che la crisi della borsa cinese e le nubi all’orizzonte sull’economia mondiale si fanno sempre più minacciose. Tanto per dirne una, proprio ieri è giunta notizia dalle stanze del Ministero dell’Economia che le stime del Pil 2016 (+1,6%), potrebbero essere viste al ribasso. Se il Pil dovesse crescere meno del previsto, come il M5S denuncia da tempo, non solo il bluff dell’occupazione verrebbe finalmente svelato, ma il rapporto deficit/Pil andrebbe oltre il tetto previsto dai folli trattati europei (3%) e il Governo dovrebbe decidere fra un nuovo massacro sociale e le elezioni anticipate.
Di certo vi è che il 2016 sarà un anno molto caldo, e per i lavoratori italiani non c’è nulla di buono in vista.