di Jeff Dekofsky – La matematica esisterebbe senza l’uomo? Abbiamo creato i concetti matematici per aiutarci a capire l’universo che ci circonda, o la matematica è la lingua dell’universo, che esiste a prescindere dal fatto che noi la scopriamo o no?
L’esistenza indipendente della matematica ha molti difensori. I Pitagorici della Grecia del V secolo credevano che i numeri fossero sia unità viventi sia principi universali. Chiamavano il numero uno “la monade”, generatore di tutti gli altri numeri e fonte di tutto il creato. Pensavano che i numeri agissero attivamente in natura.
Platone affermava che i concetti matematici fossero concreti e reali quanto l’universo stesso. Euclide, il padre della geometria, credeva che la natura stessa fosse una manifestazione fisica delle leggi matematiche.
Altri affermano il contrario.
I loro valori di verità sono basati su regole create dagli uomini. La matematica dunque è un esercizio di logica inventato, che non esiste al di fuori del pensiero conscio dell’uomo, un linguaggio astratto, basato su modelli costruiti per dare ordine al caos.
Henri Poincaré, uno dei padri della geometria non euclidea, provò che la geometria euclidea, non fosse una verità universale, ma piuttosto il risultato dell’uso di particolari regole del gioco.
Ma nel 1960, il premio Nobel per la Fisica Eugene Wigner coniò l’espressione: “l’irragionevole efficacia della matematica”, affermando con forza l’idea che la matematica sia reale e scoperta dalle persone. Wigner fece notare che molte teorie puramente matematiche sviluppate in un vuoto, spesso senza alcun intento di descrivere fenomeni fisici, decenni o secoli più tardi si sono dimostrate essere la struttura necessaria per spiegare come ha funzionato l’universo per tutto questo tempo.
Ad esempio, la teoria dei numeri del matematico britannico Gottfried Hardy, che si vantava che nessuno dei suoi lavori sarebbe mai stato utile per descrivere alcun fenomeno del mondo reale, aiutò la fondazione della crittografia. Un’altra parte del suo lavoro puramente teorico divenne famoso in genetica come legge di Hardy-Weinberg, e vinse il Premio Nobel.
L’altro esempio illustre è quello di Fibonacci, che inciampò sulla sua famosa sequenza mentre osservava la crescita di una ideale popolazione di conigli. In seguito l’uomo ha scoperto la sequenza di Fibonacci ovunque in natura, dai semi di girasole e all’ordine dei petali nei fiori, alla struttura dell’ananas, fino alle ramificazioni dei bronchi nei polmoni.
Oppure c’è il lavoro di Bernhard Riemann di metà Ottocento, che Einstein usò nel modello della relatività generale un secolo dopo.
Ecco un salto ancora maggiore: la teoria matematica dei nodi, sviluppata per la prima volta intorno al 1771 per descrivere la geometria delle posizioni, fu usata alla fine del XX secolo per spiegare come si srotola il DNA nel processo di replica. Ma potrebbe anche fornire spiegazioni fondamentali per la teoria delle stringhe.
Ma allora, la matematica è un’invenzione o una scoperta? Una costruzione artificiale o una verità universale? Un prodotto dell’uomo oppure una creazione naturale, forse divina?
Le domande sono così profonde che il dibattito spesso diventa di natura spirituale. La risposta potrebbe dipendere dallo specifico concetto osservato, ma il dubbio rimane. Se c’è un certo numero di alberi in una foresta, ma nessuno che li conti, quel numero esiste?