immagine: graffito comparso sui muri del nuovo palazzo della BCE.
L’austerity voluta dalla BCE e accettata dall’Italia ridotta a un cane da pagliaio amplificato dai giornali di regime ci sta facendo entrare in deflazione.
Da Wikipedia: “La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori”. E per farlo abbassano i costi del lavoro. Imprese in crisi, lavoratori più poveri.
Da The Telegraph del 2 aprile 2014
La paralisi deflattiva della BCE guida Italia, Francia e Spagna nelle trappole del debito. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l’euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale, ma ha scelto di non farlo.
E la Banca Centrale Europea gliel’ha consentito. Negli ultimi cinque mesi, la deflazione è avanzata a un tasso annuo pari a -1.5% nell’Eurozona, in conseguenza delle tasse imposte dalle misure di austerity.
In base ai miei calcoli approssimativi (annualizzati), partendo dai dati mensili di Eurostat, da settembre i prezzi sono calati al ritmo del 6.5% in Grecia, del 5.6% in Italia, del 4.7% in Spagna, del 4% in Portogallo, del 3% in Slovenia e quasi del 2% in Olanda.
Il rialzo dell’euro rispetto a dollaro, yen, yuan e alle valute di Brasile, Turchia e paesi asiatici in via di sviluppo, è in parte responsabile di questa deflazione importata. Il trade-weighted index di Eurolandia è salito del 6% in un anno.
Ma questa non può essere una scusante: si tratta di una conseguenza diretta della politica monetaria della BCE. Francoforte potrebbe in qualsiasi momento rimettere in carreggiata l’euro, mostrando una ferma volontà di reagire alla situazione attuale. Ha scelto di non farlo, nella speranza che qualche parola di pace pronunciata senza convinzione possa in qualche modo invertire la tendenza globale.
È arduo stabilire quale sia il punto in cui la deflazione si inserisce nel sistema. Dalla metà del 2012, i prezzi alla produzione si sono notevolmente ridotti e la tendenza si è velocizzata a febbraio, raggiungendo una percentuale pari a -1.7%: il declino più vertiginoso dalla crisi Lehman. Ma questa volta non si tratta della diretta conseguenza di un crac finanziario: il fenomeno è cronico, e più insidioso.
Il professor Luis Garicano, della London School of Economics, ha affermato che i modelli economici utilizzati per prevedere l’inflazione appaiono fuorvianti e comportano una serie di errori di valutazione. “Sono necessari interventi molto seri,” ha dichiarato.
Laurence Boone e Ruben Segura-Cayuela, della Bank of America, affermano che il loro indice di “sorpresa inflattiva” continua a scendere man mano che l’eurozona viene scossa da uno shock dietro l’altro, mentre il loro misuratore della “vulnerabilità deflazionistica” ha cominciato a lampeggiare in rosso per la maggior parte dei paesi della UEM.
L’effetto è pesantemente corrosivo, anche se la regione non è mai entrata in deflazione tecnica. La lowflation (bassa inflazione), vicina allo 0,5%, può scombinare le traiettorie del debito, se prolungata, portando nuovamente l’Europa verso una crisi debitoria. “La più pericolosa minaccia per le dinamiche del debito pubblico è un’inflazione inferiore alle aspettative. Anche solo un’inflazione più bassa del previso, non una deflazione, comporterebbe un significativo deterioramento delle finanze pubbliche dei paesi, ha affermato.
Secondo la banca, una lowflation prolungata potrebbe provocare un aumento dei rapporti di indebitamento entro il 2018, il che comporterebbe un aumento di 10 punti percentuali del debito sul PIL in Francia (105%), di 15 in Italia (148%), e di 24 punti in Spagna (118%).
Questi paesi hanno di fronte un’impresa di Sisifo: qualsiasi risultato ottengano dall’austerità verrà sbaragliato dalla forza maggiore della deflazione del debito. Lo stesso “effetto denominatore con il peso del debito che aumenta più velocemente del PIL nominale ingolferà anche il settore privato, che è ancora il tallone di Achille in Spagna, Portogallo e Irlanda.
Secondo Moody’s , la “bassa inflazione” (dallo 0.5 all’1% fino al 2018) “rinnoverebbe la preoccupazione sulla sostenibilità del debito, serrando la morsa sulle famiglie e sulle aziende con debiti a tasso fisso. Eroderebbe, inoltre, gli asset bancari, comportando nuovi fallimenti delle banche, e colpirebbe gli assicuratori sulla vita per discrepanze sulle scadenze. “Evitando una decisa deflazione non si proteggerà completamente l’eurozona da uno shock: la combinazione di bassa crescita e bassa inflazione ha un impatto significativo su tutti i settori dell’economia“, ha affermato.
Secondo l’affermazione di Reza Moghadam, del Fondo Monetario Internazionale, anche l’inflazione allo 0.5% minaccia di “soffocare la nascente ripresa” dell’Europa. Aggrava, inoltre, il divario nord-sud, rendendo ancora più difficile al Club Med il recupero della competitività persa. Gli stati indebitati dovranno apportare svalutazioni interne ancora più drastiche per riguadagnare terreno, ma ciò spingerà in alto i loro rapporti di indebitamento. “Ogni punto di aggiustamento relativo dei prezzi dovrà essere perseguito a costo di una maggiore deflazione del debito“, ha dichiarato.
Un’inflazione molto bassa può avvantaggiare importanti segmenti della popolazione, principalmente i risparmiatori netti, ma nel contesto odierno dei problemi dovuti al diffuso indebitamento, va a detrimento della ripresa dell’eurozona, soprattutto nei paesi più fragili, dove vanifica gli sforzi per ridurre il debito“, ha affermato.
Una volta compreso questo aspetto fondamentale, e cioè che vanifica gli sforzi per controllare il debito, la spettacolare idiozia della politica dell’UEM diviene palese. L’austerity così concepita è controproducente. Il fallimento principale è stato il rifiuto della BCE di controbilanciare le conseguenze della contrazione con uno stimolo monetario sufficiente per fare in modo che il PIL nominale crescesse più rapidamente dello stock del debito in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, ma non solo in questi paesi.
Ancora una volta, la BCE avrebbe potuto agire in modo diverso, ma ha scelto di non farlo perché ciò avrebbe consentito che la sua politica monetaria venisse contaminata dai giudizi su rischi morali che esulano dal suo ambito, dalle dottrine premoderne delle banche centrali o dalla paura di quello che potrebbe dire o non dire la Germania.
Il suo fallimento è evidente soprattutto in Italia, dove il debito è saltato dal 119 al 133% dal 2010, malgrado la stretta fiscale draconiana e un avanzo primario di bilancio. Il premier rockstar Matteo Renzi ha preso possesso della sua carica come un ciclone, portando un New Deal dei primi 100 giorni che ha stracciato il copione dell’austerità, rischiando il tutto per tutto con le riforme dal lato dell’offerta e una scossa fiscale per far partire la crescita.
Antonio Guglielmi, di Mediobanca, ha riferito che i mercati stanno scommettendo che Renzi possa essere un “catalizzatore di discontinuità ” capace di tirare fuori l’Italia dall’apparentemente implacabile trappola della bassa crescita, attivando un circolo virtuoso cha alla fine possa aumentare il limite di velocità dell’economia e tagliare i rapporti di indebitamento. Ma anche questo scommettitore fiorentino alla fine può fare ben poco contro la follia granitica della costruzione UEM.
Mediobanca ha dichiarato che la sua missione ultima di salvare l’Italia è destinata al fallimento se la BCE non lancerà un Quantitative Easing per impedire la deflazione del debito, e se dovrà adempiere al Fiscal Compact dell’UE, costringendo così il paese a un surplus primario di bilancio del 6% del PIL per il prossimo anno. Secondo la banca, “Spetta a Renzi dare un messaggio chiaro e deciso a Francoforte sull’alleggerimento dell’austerità“.
Scopriremo giovedì se la BCE è pronta ad affrontare la questione del QE, o qualsiasi altra questione. I prestiti alle imprese si stanno contraendo al ritmo del 3%. La BCE ha mancato il suo obiettivo di inflazione del 2% per 150 punti base, e continuerà a mancarlo di parecchio nel 2015 e nel 2016, in base alle sue stesse previsioni. Si potrebbe dire che stia violando pesantemente il suo mandato, per non parlare dei più vasti obblighi del Trattato per sostenere la crescita e gli obiettivi economici dell’Unione, ma ancora se ne sta con le mani in mano.
I critici hanno evidenziato che da anni la crescita dell’aggregato M3 tedesco si attesta costantemente tra il 4 e il 5% all’anno, ma non riescono a dire che la BCE imposta la sua politica monetaria esclusivamente sugli interessi di un paese, indipendentemente dal grado di devastazione degli altri paesi, devastazione che ora sta toccando anche Finlandia e Olanda. Se gli altri governatori sono così inerti o intimiditi dalla supremazia della Bundesbank da sopportare tutto questo, allora si meritano questo destino.
Forse ci sarà un leggero taglio dei tassi di interesse, o un tasso negativo sui depositi, o la fine dello sterilizzazione degli acquisti di obbligazioni; o un po’ di polvere negli occhi che arriva con un anno di ritardo, che sarà gravemente insufficiente e che non farà alcuna differenza. Quando la deflazione si velocizza, ci vogliono iniziative più radicali per gestirla. Jens Weidmann, dalla Bundesbank, ha aperto le porte al QE in modo davvero tiepido, apparentemente per ragioni tattiche, ma le conseguenze politiche di una simile azione sono davvero punitive in Germania.
La Bundesbank non ebbe voce in capitolo nel piano di salvataggio della BCE del 2012 (OMT), ma la Germania sì, e tale circostanza spesso non è ben non compresa dagli analisti anglosassoni. Lo schema è stato progettato di concerto con il ministro tedesco delle finanze, con il pieno supporto della Cancelliera Angela Merkel. A una cena privata tre settimane prima dell’OMT, ho udito un alto funzionario tedesco dichiarare che “non vola una mosca nell’eurozona senza l’approvazione di Berlino“, e non ho dubbi che ne fosse convinto. Così funziona l’UEM. Non ci sono segnali che lascino pensare che la signora Merkel sia pronta per un QE.
La BCE insiste nel dire che l’ultimo calo dell’inflazione sarebbe dovuto alla diminuzione dei costi dell’energia, e che pertanto sarebbe transitorio. Si tratta di un alibi sospetto. La BCE ha dimostrato l’opposto nel 2008, alzando i tassi in uno shock petrolifero basato sull’affermazione secondo cui gli effetti dell’energia non sarebbero passeggeri.
In ogni caso, alcuni dei principali analisti energetici mondiali affermano che il prezzo del petrolio ha appena iniziato a scendere, visto l’aumento della produzione di greggio. La produzione dell’Iraq ha raggiunto il suo massimo da 35 anni. Le esportazioni della Libia saliranno quando le milizie ribelli termineranno il blocco. Gli Stati Uniti potrebbero aggiungere 1 milione di barili al giorno per quest’anno, toccando gli 11 milioni. Un calo a 80 dollari del prezzo del barile sarebbe un toccasana per i redditi reali che sono in calo in mezza Europa, ma potrebbe anche liberare aspettative inflattive, un effetto simile a quello che colpì il Giappone negli anni ’90.
I timori per la deflazione in Europa si placherebbero se fosse vero che siamo giunti all’apice di un nuovo ciclo di crescita economica globale. Se ciò sia vero, proprio mentre Cina e Stati Uniti si avvicinano, rimane da vedere. “Potremmo avere di fronte a noi anni di crescita lenta e inferiore alla attese“, ha dichiarato questa settimana Christine Lagarde del FMI.
“Il rischio è che, senza una sufficiente ambizione politica, il mondo possa cadere in una trappola di bassa crescita a medio-lungo termine. L’area dell’euro ha bisogno di altro monetary easing, anche attraverso misure non convenzionali“.
Potremmo anche essere vicini alla fine di un ciclo quinquennale globale, che Eurolandia ha ampiamente mancato a causa dei suoi errori. Se così fosse, la regione è solo a un passo dal precipitare in una piena deflazione, che porterà matematicamente l’Italia e altri paesi verso l’insolvenza, velocizzando una crisi del debito sovrano troppo grande per essere arginata. È una scelta politica. Ci sono ventiquattro uomini e donne che vogliono che tutto questo accada.” Ambrose Evans-Pritchard