L’Italia del cemento che ogni settimana fa scomparire ettari di terra è in crisi. Dalla bolla del 2008 l’edilizia ha perso 210.000 occupati che arriveranno a 290.000 nel 2011 considerando i settori collegati. Spiace per i posti lavoro perduti e che si perderanno, ma è una buona notizia per l’Italia cementificata. Negli ultimi dieci anni l’Italia si è deindustrializzata, con la chiusura di centinaia di aziende, per la loro contrazione, come è avvenuto per Telecom (con 50.000 dipendenti in meno), Olivetti, Alitalia, Italtel, e per lo spostamento all’estero di società storiche come Omsa e Bialetti (che continuano però a usare il marchio made in Italy). Nello stesso periodo i terreni coltivabili si sono trasformati in palazzi, strade, capannoni industriali, ipermercati. L’agricoltura ha perso quote di mercato e occupazione. Nel frattempo, in controtendenza, l’edilizia ha avuto un orgasmo cosmico con una curva di crescita portentosa. Dai 90 miliardi di euro del 1998 si è arrivati al picco di 120 miliardi di euro del 2007. Il grafico dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) sembra un’erezione fallica con un’improvviso coitus interruptus nel 2008 quando il mercato è crollato in verticale ritornando indietro di un decennio in soli tre anni.
L’Italia deindustrializzata e con un’agricoltura in agonia per mancanza di una politica nazionale e di una vera classe imprenditoriale, si è gettata nel business più semplice, la distruzione del territorio, delle città, del paesaggio, del turismo. Il riciclaggio del denaro della criminalità organizzata, le tangenti istituzionalizzate, il concetto di “lavoro, lavoro, lavoro” (per dirla alla Fassino) senza un’idea del futuro, l’utilizzo delle aree edificabili per lo smaltimento di rifiuti tossici (come Santa Giulia e Bisceglie a Milano), le cooperative rosse-nere-bianche collegate ai partiti come nel caso della Tav in Val di Susa, i comuni asserviti ai grandi costruttori, i prestiti alla ca..o delle banche, le Grandi e Piccole Opere Inutili, tutto questo ha creato una corsa all’oro grigio.
Nonostante questa orgia di edilizia e un’offerta superiore alla domanda i prezzi sono aumentati in modo indiscriminato, con solo una leggera contrazione nell’ultimo periodo (solo lo 0,3% nel primo semestre 2010). Per comprare un bilocale in città bisogna pagare un mutuo per vent’anni, peggio degli schiavi dei Faraoni. Il valore delle case, per la legge del mercato, dovrebbe essere almeno la metà. Nei grandi centri il numero degli uffici e degli appartamenti vuoti, spesso interi edifici, è altissimo. E’ sufficiente percorrere una via a piedi per trovare avvisi affissi più o meno in ogni portone. E’ chiaro che esiste un cartello che controlla i prezzi che può essere riferito alle banche, che hanno erogato prestiti miliardari, e ai costruttori, che dovrebbero rivedere il loro bilancio e forse portare i libri in tribunale se dovessero svalutare gli immobili.
Dal documento “Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni” dell’ANCE: “La contrazione del numero di abitazioni compravendute negli ultimi tre anni (2006-2009) non è stata accompagnata da una significativa diminuzione dei prezzi medi. I valori degli immobili hanno manifestato le prime variazioni negative solo a partire dal primo semestre 2009 e risultano comunque di piccola entità.” Nessuno compra, nessuno affitta, i prezzi non scendono e vogliono continuare a costruire. Quanto può durare?
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