di Beppe Grillo – È ora di fare scelte coraggiose, sostenendo lo sviluppo digitale dell’Italia con una visione industriale e di lungo periodo. Infrastrutture e competenze digitali, infatti, sono un elemento imprescindibile per rendere il nostro Paese competitivo sui mercati internazionali e generatore di sviluppo.
La connettività è ormai da intendersi a tutti gli effetti come un “diritto costituzionale”. Tutto passa e passerà sempre di più dalle reti digitali. La possibilità per tutti i cittadini e le aziende di accedere ad un’infrastruttura capillare, altamente performante e sicura è fondamentale.
Garantire un diritto alla connettività significa garantire pari accesso al lavoro, alla sanità e all’istruzione. L’emergenza del Covid-19 ci ha dimostrato quanto l’accesso ad una connettività diffusa e performante abbia impatti sui temi del lavoro e dell’industria, sui temi della formazione e dell’istruzione, sui temi della sanità, ma anche sui temi della socialità e dell’energia.
Sul lavoro significa:
- creare le condizioni imprescindibili su cui costruire la competitività per le nostre imprese, generando così nuove opportunità di lavoro per i nostri giovani e meno giovani senza che debbano abbandonare le loro città di origine, avendo un mercato del lavoro più ampio e flessibile;
- permettere alle persone di poter lavorare per una società di Milano da un piccolo borgo del Sud d’Italia. Questo permetterà da un lato a tante persone di accedere più facilmente al mercato del lavoro e alle aziende di avere lavoratori di qualità anche a costi più contenuti, anche riportando nel nostro paese lavorazioni andate fuori;
- poter sviluppare nuovi modelli di produzione industriale, ad esempio utilizzando a distanza le stampanti 3D per produrre oggetti complessi;
- consentire a centinaia di ingegneri italiani o di altre parti del mondo di lavorare in contemporanea sullo stesso progetto o prodotto.
Sull’istruzione significa:
- poter formare i nostri giovani in qualsiasi parte d’Italia, accedendo a lezioni interattive dei migliori professori a livello mondiale;
- poter accedere in tempo reale a milioni di banche dati in totale sicurezza;
- poter far lavorare tanti studenti insieme su uno stesso progetto di ricerca scambiandosi informazioni e documenti e stando in contemporanea in video conferenza.
Sulla sanità significa poter monitorare le persone anziane o i malati da casa, riducendo la frequenza delle visite in ospedale e garantendo comunque l’accesso alle migliori diagnosi e cure mediche.
Ma significa anche tanto altro:
- porre le basi per reti di trasporto di ultima generazione che consentano di avere ad esempio auto elettriche a guida autonoma in grado di ricaricare autonomamente le batterie recandosi in apposite piazzole;
- poter avere elettrodomestici che siano in grado di ottimizzare i consumi elettrici sapendo adattarsi da soli alle abitudini dei propri proprietari e che sappiano e possano interagire in modo intelligente tra loro scambiando informazioni;
- poter gestire tanti aspetti della propria vita quotidiana da remoto guadagnando tempo.
Garantire un diritto alla connettività significa poter avere un futuro in cui si restituisce centralità alle persone, dando valore al tempo e alla qualità della vita. Questo è un tema di democrazia del Paese, che per essere risolto richiede un’ampia convergenza politica e istituzionale. Fare tutto questo oggi è possibile, bisogna avere il coraggio di lanciare un grande progetto industriale di mercato, e non un progetto finanziario. Un progetto di lungo periodo e sotto la regia dello Stato, non di investitori stranieri.
L’obiettivo deve essere quello di recuperare rapidamente e con una visione unitaria il ritardo tecnologico e digitale accumulato dall’Italia negli ultimi anni, che oggi costituisce una priorità di sviluppo e di rilancio per il Paese.
Serve un progetto che sia in grado in tempi brevi di sbloccare ingenti investimenti diretti e indiretti, anche utilizzando le risorse messe a disposizione dall’Europa attraverso il Recovery Fund.
Si deve puntare a creare un unico grande polo aggregatore delle migliori infrastrutture e tecnologie digitali utili a ridurre il divario digitale italiano.
Serve, in particolare, una società che sia in grado di sviluppare una rete moderna, capillare e sicura, e che abbia tutte le tecnologie attuali e prospettiche:
- non solo le reti in fibra ottica, ma anche le tecnologie 5G, abilitatrici dell’internet delle cose, e le torri in cui vengono installate le microcelle;
- non solo i datacenter e le soluzioni in cloud che archiviano e gestiscono tutti i dati dello Stato, dei cittadini e delle nostre aziende, ma anche le competenze e le tecnologie nel campo della cybersecurity, fondamentali per tutelare la sicurezza dei dati dei cittadini. I dati, infatti, rappresentano un patrimonio delle persone, ed è fondamentale che vengano tutelati e che gli individui possano scegliere di valorizzarli liberamente, consapevolmente e in sicurezza.
Per questo bisogna urgentemente fare tutti i passi necessari per creare un’infrastruttura che sia:
- UNICA, in cui possano confluire tutti i pezzi di infrastruttura dei vari operatori. Basta duplicare gli investimenti! È essenziale impiegare in modo efficiente le risorse disponibili in modo tale da poter investire nel continuo, anche in futuro;
- MULTI TECNOLOGICA, che utilizzi e sviluppi non solo la fibra ottica ma tutte le tecnologie di accesso, come ad esempio la trasmissione 5G, i data center, il cloud e l’edge computing. Oggi parliamo di fibra, ma la fibra in altri paesi è già presente e loro parlano e vivono con il 5G. Questa nuova società sarà responsabile di scegliere quale sia il modo più efficiente per garantire una connessione diffusa e di qualità, indipendentemente dalla tecnologia. Non devono essere i cittadini infatti a doversi preoccupare con che tecnologia sia meglio ricevere la connessione. Come non si preoccupano di come ricevono il gas, la luce o l’acqua potabile;
- APERTA E SEPARATA DAI CLIENTI FINALI, in modo tale che tutti i fornitori di servizi possano accedervi liberamente e a condizioni di mercato, siano essi operatori telefonici o fornitori di servizi di telemedicina, o altro.
La creazione di questa società permetterebbe di allineare un settore così strategico a modelli di successo come quelli già sperimentati nel mondo energetico e di introdurre un meccanismo di remunerazione collegato all’ammontare degli investimenti effettuati. Una società unica delle infrastrutture e delle tecnologie digitali faciliterebbe inoltre l’accesso alle risorse messe a disposizione dall’Europa per promuovere il rilancio delle economie europee, a valle di una crisi senza precedenti come quella legata alla pandemia Covid-19.
Per realizzare questo progetto ambizioso della società unica delle reti e delle tecnologie di comunicazione bisogna partire necessariamente da Telecom Italia, che rappresenta ancora oggi il principale operatore di telecomunicazioni del Paese. Negli ultimi anni, tuttavia, la gestione di Telecom è stata dettata da logiche finanziarie di breve termine, in quanto il management non ha avuto nessuna visione industriale di lungo termine. Questo ha generato un continuo depauperamento del valore intrinseco e del know how della società, anche per effetto della continua perdita di competenze e professionalità distintive.
Questo ha portato ad avere la Telecom Italia di oggi:
una ex grande azienda all’avanguardia e di dimensione europea, che ha fatto nascere tante invenzioni nel campo delle telecomunicazioni, ormai ridotta ad una realtà che continua a mettere in vendita i pochi gioielli di famiglia che le sono rimasti sotto la guida peraltro di un investitore francese. Ne è un esempio il percorso avviato dalla società di apertura accelerata del capitale delle sue partecipate ad investitori internazionali di private equity, finalizzato esclusivamente a fare cassa per ridurre il debito esistente.
Operazioni come quella su INWIT e il progetto di dismissione parziale dei datacenter attualmente allo studio in partnership con Google sono la dimostrazione di un percorso, ormai avviato da tempo, che non presenta alcun razionale industriale sottostante.
Da ultima l’operazione di vendita di un pezzo della rete secondaria al fondo americano KKR, in logica puramente finanziaria e non industriale, complica soltanto il progetto di possibile creazione di una società unica delle reti e delle tecnologie.
Questo progetto prevede, di fatto, uno “spezzatino” delle infrastrutture di TIM e l’ingresso di un ulteriore investitore (nonché interlocutore) estero in asset strategici per il Paese con il solo obiettivo di conseguire benefici finanziari di breve periodo.
Questa strategia sta generando una perdita intrinseca di valore della società per effetto della riduzione dei margini futuri, con un rischio enorme sulla sostenibilità futura della società anche in termini di posti di lavoro. Infatti, l’azionista di riferimento di TIM è un soggetto estero focalizzato sulle attività commerciali e sui contenuti media, e non ha come priorità un ambizioso piano di sviluppo infrastrutturale, di cui invece il Paese ha estrema necessità.
È ora arrivato il momento per TIM di invertire la rotta rispetto al passato, sviluppando una maggiore focalizzazione sulle attività tecnologiche, anche attraverso la separazione di tali attività dal resto del perimetro aziendale. In particolare, è fondamentale che TIM torni ad essere una realtà che investe pesantemente e in maniera integrata nelle tecnologie di comunicazione, sia attuali (come ad esempio la fibra ottica) che prospettiche (come ad esempio il 5G), anche congiuntamente con gli altri operatori del settore in chiave finalmente sistemica.
È auspicabile che il progetto di creazione di una società unica delle reti e delle tecnologie venga realizzato sotto la guida e l’indirizzo di istituzioni pubbliche con un’ottica paziente, che siano in grado di garantire sicurezza, stabilità e sviluppo nel lungo periodo.
Per realizzare questo progetto ambizioso bisogna pensare di separare in due la società, mantenendo inalterato l’attuale organico. Bisogna dividere i servizi dalle infrastrutture creando finalmente due società separate. La prima società sarà focalizzata sulle attività commerciali e dei servizi verso iclienti finali. La seconda società sarà proprietaria di tutte le infrastrutture che comprendono: le torri di INWIT, la rete mobile (incluso il 5G), i data center, il cloud, la rete internazionale di Sparkle, e la società sulla fibra derivante dall’integrazione della rete fissa di Telecom con quella di Open Fiber.
La creazione di una società unica delle infrastrutture e delle tecnologie digitali garantirebbe numerosi ed evidenti vantaggi, tra cui:
- l’accelerazione dell’installazione di reti e tecnologie fisse (fibra) e mobili (5G) sull’intero territorio nazionale a beneficio della collettività e delle imprese. Questo processo genererebbe un ingente risparmio di risorse finanziarie, evitando duplicazioni di investimenti in infrastrutture in sovrapposizione;
- l’inversione del processo in atto da anni di destinazione di risorse sempre crescenti per rispettare i piani di rimborso del debito ed a favore di business poco profittevoli a discapito del sostegno ai piani di sviluppo dell’infrastruttura;
- la possibilità per gli altri operatori di conferire le loro infrastrutture rafforzando ulteriormente il progetto di “rete unica”.
La società unica delle infrastrutture e delle tecnologie dovrebbe avere come primo azionista un soggetto in grado di garantire l’indipendenza del network dai suoi utilizzatori, oltre che un orizzonte di investimento di lunghissimo periodo.
Questo risultato si potrebbe ottenere replicando il modello di successo delle importanti realtà che gestiscono le infrastrutture energetiche del Paese, nelle quali Cassa Depositi e Prestiti rappresenta il socio di riferimento in un contesto di azionariato diffuso.
La presenza di un’Istituzione come Cassa Depositi e Prestiti sarebbe, infatti, sinonimo di stabilità nell’azionariato e garanzia di massicci investimenti per lo sviluppo dell’infrastruttura digitale del Paese.