di Beppe Grillo – Voglio iniziare con una domanda inquietante: secondo voi stiamo andando verso un futuro con più o meno posti di lavoro?
Ma siccome ci siamo fatti questa domanda moltissime volte, in passato, forse in realtà dovremmo chiederci se questa volta c’è qualcosa di veramente diverso.
La paura che l’automazione possa sostituire i lavoratori e portare ad una grave disoccupazione risale ad almeno 200 anni fa, alle rivolte luddiste in Inghilterra.
E da allora, questa preoccupazione si è ripresentata più volte. Suppongo che pochi di voi abbiano mai sentito parlare della lettera sulla Triplice Rivoluzione. Fu una relazione presentata al Presidente degli Stati Uniti da un team di lavoro che includeva addirittura diversi premi Nobel. Affermava che gli Stati Uniti si trovavano sull’orlo di un conflitto economico e sociale perché l’automazione industriale avrebbe causato milioni di disoccupati. Quella lettera è stata consegnata al Presidente Lyndon Johnsonnel nel marzo del 1964, ben cinquanta anni fa, ma sebbene l’allarme sia stato lanciato ripetutamente, si è sempre rivelato infondato.
E a causa di questa infondatezza è sorta la convinzione che essenzialmente sì, la tecnologia può devastare intere industrie, cancellare settori e posti di lavoro. Ma al contempo il progresso ci porterà cose completamente nuove. Nuove industrie sorgeranno, nuovi tipi di lavoro faranno la loro comparsa e potrebbero essere cose che oggi non possiamo nemmeno immaginare.
Finora la storia è andata così, ed è stata un successo. Perché? I nuovi posti di lavoro che sono stati creati, di solito sono stati sempre migliori dei precedenti. Sono stati molto più coinvolgenti, si sono svolti in ambienti più sicuri e più comodi, e certamente sono stati pagati meglio. Ma voglio quindi farvi una domanda provocatoria. È possibile che a un certo punto, in futuro, una quota significativa della forza lavoro umana finisca per essere tanto superflua quanto lo sono diventati i cavalli all’apparire delle automobili?
Potreste rispondere che è assurdo confrontare gli esseri umani e i cavalli. I cavalli sono molto limitati e quando auto e camion e trattori fecero la loro comparsa, ai cavalli non restava più nulla da fare. Le persone, d’altro canto, sono intelligenti; possiamo imparare, adattarci. E in teoria, questo implica che troveremo sempre qualcos’altro da fare. Ma ecco l’aspetto davvero critico da capire. Le macchine che minacceranno i nostri lavoratori non hanno niente a che vedere con quelle auto, camion e trattori che hanno sostituito i cavalli. Il futuro sarà pieno di macchine che pensano, imparano e si adattano. E questo significa che la tecnologia sta iniziando ad esibire una capacità umana fondamentale, la capacità che fino ad ora ci ha mantenuto indispensabili all’economia.
Allora cosa c’è di veramente diverso nell’odierna tecnologia dell’informazione, rispetto al passato? Le macchine stanno iniziando a pensare.
E non mi sto riferendo all’intelligenza artificiale della fantascienza; voglio solo dire che macchine ed algoritmi stanno prendendo decisioni. Stanno risolvendo problemi e lo fanno al nostro posto e cosa ancora più importante, stanno imparando. In effetti, se c’è una tecnologia che è davvero centrale in tutto questo ed è realmente diventata la forza trainante del processo, è l’apprendimento automatico (machine learning), che sta diventando una tecnologia incredibilmente potente.
L’altro aspetto fondamentale da capire è che questo cambiamento non è assolutamente riservato ai bassi redditi, ai colletti blu, o a quelle figure professionali con livelli di istruzione relativamente modesti. Vediamo già un impatto sulle libere professioni, su persone come i contabili, gli analisti finanziari, i giornalisti, gli avvocati, i radiologi e così via.
A questo punto penso emerga chiaramente che potrebbe attenderci un futuro di alta disoccupazione. O quantomeno, potremmo affrontare sottoccupazione o redditi stagnanti, forse persino in diminuzione. E ovviamente, un peggioramento delle diseguaglianze. Tutto questo, ovviamente, inietterà una terribile quantità di stress nel nostro tessuto sociale.
Il fondamentale problema è che il lavoro è ad oggi il meccanismo primario di distribuzione del reddito. Non ne conosciamo un altro. Abbiamo unito il reddito al cibo e all’intera economia. E se vuoi una fiorente economia di mercato, servono molti consumatori che siano in grado di acquistare i beni e servizi. È molto importante capire che è l’accesso all’economia di mercato che permette a tutti noi, come individui, di avere successo nella vita. Che cosa ci possiamo fare? Potete affrontare il problema da una prospettiva utopica. Potete immaginare un futuro dove tutti lavorano meno, abbiamo più tempo libero, più tempo per le famiglie, per fare cose che ci appaghino davvero e così via. Io lo trovo uno scenario fantastico. È qualcosa cui senz’altro dovremmo ambire.
Allo stesso tempo, penso, dobbiamo essere realisti, e dobbiamo renderci conto che probabilmente il cambiamento all’inizio non sarà accettato. Molte persone saranno lasciate indietro. Dovremmo affrontare un problema di distribuzione del reddito.
Se vogliamo risolvere questo problema alla fine dovremo trovare un modo per separare i redditi dal lavoro tradizionale. E penso che il modo migliore, più diretto, per riuscirci sia una qualche forma di reddito garantito o reddito di base universale. È un’idea che sta acquistando sempre più rilievo, riceve molto sostegno e attenzione, ci sono molti progetti pilota ed esperimenti in corso nel mondo.
La mia opinione è che il reddito di base non sia una panacea, una soluzione che funziona da sola, ma è piuttosto un punto di partenza.
Dovremo comunque immaginare che un futuro molto diverso da quello che avevamo in mente, dovremo affrontare il rischio che l’intero sistema collassi. Dovremo trovare un modo di costruire un’economia futura che funzioni per tutti, a ogni livello della nostra società, sarà una delle sfide più importanti da affrontare nei prossimi anni e decenni.
Di seguito vi allego un documentario di Daniel Häni e Enno Schmidt sul reddito di base incondizionato. Assolutamente da guardare! Ci sono i sottotitoli in italiano.